Quand'ero piccol* mi lasciai convincere a finire un piatto di risotto dietro promessa che i cartoni animati sarebbero poi usciti dal televisore per giocare con me. Dopo la delusione, ho smesso di crederci. Ma non tutti hanno avuto questo iter.
Qualcuno è ancora lì che attende che il suo pezzo di realtà fantasticata a poco a poco fuoriesca dal video e si componga in tre dimensioni. Il problema è che accade veramente. Questo è il problema.
La televisione fuoriesce e plasma il paesaggio che abitiamo. Pensavo (pochi anni dopo la faccenda dei cartoni animati) che la pubblicità non avesse tutto quel potere, invece ce l'ha. Pensavo, beata innocenza, che la pubblicità avesse un suo posto accessorio, invece è la base necessaria e pervasiva che intride l'intero palinsesto, poi da lì trasuda, si spande, s'irraggia e dà corpo a spazi, oggetti, personaggi del mondo reale.
Reality non significa che la realtà entra in televisione, ma che la televisione cammina fra noi. L'elenco del televisivo raggiunge ormai lunghezze satellitari: una parola dopo l'altra, la realtà cede, non uccisa come disse Baudrillard, ma plasmata dalla tv. Tv al plasma? no, tv plasmante.
Il punteggio della pallavolo. La pericolosità dello zucchero. La leggerezza dell'acqua in bottiglia. I sogni delle bambine. La colonna sonora nelle nostre case: rumore che ci ricorda che tutto scorre senza mutamenti. L'attenzione per i figli. La durata della capacità di concentrarci. La qualità dei nostri pensieri. La contrattazione con le cose. Il valore, anche affettivo, dello shopping, forse la più frequente occasione di autoaffermazione della persona che è in noi.
Fantastica tv. Illuminante maestra che ci indica la via sbarluccicante di un paradiso terrestre con il codice a barre impresso sopra.
Non stare tutto il tempo davanti alla tv, dice la tv, alzati e cammina, tanto con dolorzut non ti accorgerai nemmeno di essere già morto, e con eternosniff toglierai la puzza per sempre. Acquista una nuova Garlinda triturbo da zero a cento in sei nanosecondi, così, fra monti urbani e scogliere tangenziali, raggiungerai la mole maestosa del discount nel tempo di un teletrasporto, e lì potrai rilassarti con un sushi in bocca mentre Garlinda viene lavata.
La televisione, solerte, registra il residuo dei nostri desideri e attaccamenti, li amplifica sulla scena, li trasforma in imperioso valore di riferimento e ci guida così, sicura e costante, nel mare confuso e doloroso della vita. E non è anestesia, non c'inganna, la cara flat-scatola, anzi ogni giorno ci informa sul terribile stato del pianeta, sincera fonte di una completa e veritiera informazione.
Attenta interprete di ciò che siamo e di ciò che necessitiamo, contratta per noi le priorità di acquisto, la scelta della meta delle vacanze, il rinnovamento del nostro parco di tecnologia domestica, gli ingredienti dei biscotti, che cosa fa bene e che cosa fa male, che cosa è utile e che cosa è inutile, che cosa pulisce e che cosa non pulisce più, la forma delle sopracciglia, la linea del pudore, l'accettazione gioconda delle inevitabili regole imposte dalle compagnie telefoniche, l'appetibilità di un sabato al centro commerciale, la necessità di nuovi oggetti, la colpa di alcuni soggetti, chi vince e chi perde lo show politico, il confine della nostra innocenza e del nostro essere vittime, la quantità di problemi che virtualmente ci affliggono e la loro soluzione più immediata: la televisione è il gel miracoloso che, anche in mancanza di amore, responsabilità e attenzione, incolla i pezzi della famiglia bisognosa di aiuto e tutte le famiglie fra loro, sopprime i sintomi negativi, attutisce i dubbi, zittisce i conflitti.
Sintomo: stato del nostro sentire che ci rivela un problema al momento, altrimenti, nascosto.
Un tempo il cliente aveva sempre ragione, oggi il cliente è divenuto pubblico televisivo. Il che non sarebbe così grave, se non fosse per la nostra dannata tendenza a rinunciare a pensare, a voler assomigliare a qualcun altro. Eccolo, il pubblico televisivo, è lì dentro, nella televisione, e da lì è uscito, mentre mangiavamo un risotto, e senza accorgerci di niente, come nell'invasione degli ultracorpi, non eravamo più noi, ma loro! Proveniamo dalla casa, dall'isola, dalla poltrona dell'ospite. Le loro lacrime sono le nostre, la loro voglia di fortuna è la nostra. Io non penso più il mio pensiero, ma il mio pensiero mi pensa, ed è un pensiero televisivo.
Non spegnerò la televisione. Non butterò l'arma dove non posso vederla. Continuerò a osservarla, a vederne uscire i pensieri da pensare, le bambine rosa, i bambini celesti, le cinquenni con il due pezzi, i cinquenni sedati dal nintendo, i ragazzi che s'incontrano all'iper, le mogli che aspettano il loro turno per il suv, i mariti che aspettano il loro turno per stare finalmente davanti a lei, la televisione, caro magico monitor da cui escono le belle donne dai seni perfetti, le partite di cui parlare, gli arbitri contro cui esprimere proteste liberatorie, i pensieri da pensare...
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