lunedì 29 settembre 2008

iperfantasmi

Non m’intendo un granché di architettura, ma ho l’impressione che i progetti per centri commerciali, outlet e quant’altro seguano criteri per lo meno surreali.

Pare che l’accettazione di un progetto dipenda da alcuni criteri fissi e da altri variabili a seconda della posizione geografica. Gli architetti si trovano davanti un’area, a volte molto vasta, e una richiesta basata su un'esigenza funzionale: dato il rispetto per quei pochi criteri, possono sbizzarrirsi - tanto chi ne capisce fra i vari amministratori che devono dare l’ok - anche se poi non fanno che scopiazzarsi.

Fissi: risparmio (non significa che vince il progetto più economico, ma quello che dichiara più risparmio – non si sa bene rispetto a che cosa).
Variabili: interessi delle parti e qualità dell’integrazione nell’ambiente circostante.

Sugli interessi delle parti lascio le invettive a sociologi, politici, economisti e comuni cittadini.
Sull’ultimo fattore, invece, vorrei esprimere il mio personale disappunto.
Se il progetto viene realizzato in città, l’integrazione dipenderà da volatili fattori di coerenza con la storia culturale, architettonica e urbanistica di quella città.

Ciò significa che, se costruisco per esempio a Milano, sarò favorito se uso un bel po’ di mattone rosso, qualche profilo di facciata a capanna, oculi rotondi e se proprio vogliamo fare i raffinati la distruzione-recupero di frammenti di un edificio preesistente. Guarda caso criteri analoghi varranno anche a Torino... ma, sorpresa, non sembrano molto diversi in molte altre aree d'Italia e d'Europa. Insomma, tutti questi sforzi per localizzare l'emblema della globalizzazione sembrano destinati a fallire: strano!

Caso: lo spazio urbano è fitto di altri edifici e ristretto. Posso scegliere fra due opzioni: progetto poco visibile, di basso profilo, che non scontenta nessuno. Progetto “audace”, molto visibile, che si innesta solitamente con una forma geometrica semplice e materiali vistosi in un contesto che ne viene così spezzato ed eventualmente esaltato per contrasto. Quindi, se c’è un’amministrazione di destra propongo il primo, se di sinistra il secondo.
Pertanto: se c'è la destra, farò uno scatolone rosonato coperto in klinker simil-cotto, la cui foggia non offenda la skyline - ché mica sono Zaha o Daniel. Se invece c'è - ma questo sarà a lungo difficile - una sinistra molto progressista, proprorrò liberamente - entro il budget - superfici ondulate, labirinti a più livelli, corridoi biomorfi e vistosi tetti coperti di pannelli fotovoltaici, ma inserendo al centro la vecchia ciminiera restaurata.

Tuttavia, a fronte di progetti di grandi architetti che promuovono la bellezza nel nuovo e nel bizzarro, se non sono uno di loro, devo ricordarmi che oggi prevale la tendenza a premiare in ogni caso il basso profilo, per lo meno in città, dove è facile offendere qualcuno.

In periferia e in campagna, il discorso cambia. L’importante è capire se ci troviamo appunto in periferia o in campagna. Ciò non dipende dalla vicinanza di una grande città. Città, campagna e periferia si alternano ovunque a macchia di leopardo. Un centro commerciale può essere costruito ad esempio alla periferia di Gorgonzola. Se ci sono un po’ di capannoni industriali, capannoni-negozi e capannoni-ristoranti uno dietro l’altro lungo un asse viario, siamo in periferia.
Se mi trovo in campagna, magari una campagna di lussuose seconde case, il principio del rispetto del territorio e delle sue tradizioni diventa stringente. Poniamo di costruire un'iperqualcosa in Toscana, terra dei più antichi decreti urbanistici restrittivi che ha portato la piazza di Siena ad essere fra le prime tutelate: tuttora vale il criterio delle tendine marroni per tutti, compreso Mac Donald.
In codesta regione, proporrò anzitutto rivestimenti di pregio, colori mimetici, basso "impatto ambientale". Dovrò aver cura particolare per la piantumazione in filari di sapore carducciano, dove passeri e rusignoli possano nidificare. Ma se mi trovo, nella stessa regione, in periferia, dovrò proporre un recupero e valorizzazione della cultura del territorio, con rivestimenti di simil-pregio, colori un po' meno mimetici e una piazzetta dove le persone possano incontrarsi come una volta.

Se invece mi trovo, poniamo, nella periferia di Roma, avrò bisogno di forme e materiali innovativi, che riqualificano le aree di edilizia popolare con un innesto vistoso, futuro punto di riferimento per migliaia di cittadini in cerca di novità. Potrò ad esempio basare l'attrattiva del luogo sui rivestimenti colorati. A mo' di esempio cito con qualche libertà da un sito: "Il visitatore è infatti sorpreso da un disegno articolato che si sviluppa sulla pavimentazione: una stella nera a 8 punte, in nero cerchiata da una fascia in giallo. La composizione, di 5 metri e mezzo di diametro, circonda il pilastro collocato a metà galleria. Particolarmente suggestivo l'accostamento dei colori, nonché l'andamento ondulato del disegno, i cui diversi elementi sembrano giocare muovendosi in direzioni diverse. Questo alternarsi di linee, tratti e colori si ritrova anche al piano terra: un'altra stella a 8 punte e 3 grandi soli a 24 punte, di circa 6 metri di diametro, anch'essi chiusi da una fascia circolare in giallo. Tutta la restante pavimentazione è invece in simil travertino, capace di creare un'atmosfera luminosa ed elegante"... tutti a giocare con i disegni e i colori dei pavimenti, dunque, utilissimi nell'indicarci visivamente i percorsi più funzionali per accedere ai vari negozi! Meno utili, nella ripetizione di stelle o rose o cerchi concentrici che siano, per aiutarci nel non facile orientamento interno (per non parlare dell'orientamento nel parcheggio). Ma pazienza.

Un caso a se stante è quello della Brianza, una delle zone più devastate dal progresso postbellico: talmente devastata, che la presenza di qualcosa di bello là in mezzo viene immediatamente percepita come un'emergenza monumentale che le Belle Arti proteggono o dovrebbero proteggere, a patto che abbia più di un secolo. Quindi devo anzitutto informarmi su che cosa ci sia di bello lì vicino. Se ad esempio sono nei pressi di una certa cappella con affreschi che raccontano la vita di San Bisbetico, famoso monaco di clausura, chiamerò il mio progetto Orti di San Bisbetico. Poi procederò come segue: se c'è tanto spazio, costruirò un bel centro commerciale come pare a me, liberando la mia immaginazione, tanto il dintorno è talmente stratificato che non c'è materiale tipico usabile - a meno che i soldi me li dia uno della Lega. Inoltre potrò piantare molte decine di alberelli negli spartitraffico vicini, di modo da ottemperare agli oneri di urbanizzazione dando molto ossigeno... alla mia immagine di progettista sensibile al paesaggio e alla natura.

Altro caso particolare è quello della periferia continua legata all'A4, in particolare nella tratta Rho-Venezia. Lungo questo serpentone posso concentrare due tipologie di progetto: l'iperbrutto, tanto non si rovina nulla, e l'ipervistoso, che dall'autostrada lo vedono tutti ed è una bella pubblicità.

Ma la mia invettiva parte da un altro ordine di constatazioni. Il reticolato di strade esistenti in Italia, la struttura degli abitati, la densità di veicoli non sono fatti per accogliere questi iperfunghi cittadelle dello shopping.
Dove ne nasce una nuova, oltre a perdersi una linea dell'orizzonte, si perde un modo di vivere.
Il traffico delle città all'ora di punta viene immediamente replicato intorno al nuovo bubbone. Proliferano anelli concentrici di strade, vere e proprie circonvallazioni con rispettive rotonde. Forse una strategia per svuotarci la testa ancor prima di entrare? Ponti e sottopassi trasformano anche in verticale la percezione del territorio. Cotto o non cotto, qualunque memoria è cancellata. Divenuta un'area off-limits per i pedoni (ad eccezione dell'ampio parcheggio), si trasforma in inferno per chi si trova a passar di lì in auto di sabato o ahimè anche di domenica.

La Torre Velasca non ha colpa, ma la valorizzazione del territorio italiano passa attraverso il profilo che ricorda il vicino maniero.
Il materiale si giostra con poco o nessun significato fra "natura" e "cultura", la forma fra "tradizione" e "innovazione", la dimensione dipende dalla disponibilità di appezzamenti ex agricoli da trasformare in vie di accesso, mentre il risultato fisso è l'implosione del traffico circostante.

Percorro le campagne e ogni settimana vedo aprirsi nuovi baratri nel corpo della terra già offesa da contadini non più affezionati al loro lavoro, o devastata in ogni modo dal trionfo della logistica su gomma. Sembra che non ci sia più un salvabile da salvare. Che se ne faranno i bambini della salvaguardia di un campo vuoto, lì, fra la superstrada e l'ipercosone? Anzi, meglio farlo fuori, potrebbero accamparsi gli zingari. Ma c'è una speranza. Sotto l'iperpiaga c'è una bolla speculativa: sono troppi, troppo vicini uno all'altro. In più qualcuno ricomincia a comprare il latte e il formaggio dal fattore, o si organizza in gruppi d'acquisto solidale. Molti di questi distributori di merci falliranno, mi auguro, e sarà un nuovo orizzonte di archeologia postindustriale, attraversata in notturna, per gioco e per avventura, da migliaia di nomadi a rotelle, o abitata dai pellegrini di domani.

giovedì 18 settembre 2008

contro le bambine















Ma che dico? Perchè mai dovrei inveire contro le bambine? Mai idea più balzana mi è passata per la testa. Forse che le bambine di oggi sono peggiori di quelle di un tempo?
Le cose non cambiano: la retorica dei bei tempi andati non ha alcun significato. Le bambine di oggi sono belle e brave come le bambine di sempre, non meritano un'invettiva ma una celebrazione; sono dolci, carine, socievoli, magari appena un po’ timide. A volte un po’ capricciose, questo sì, solo un po’ più capricciose di com’erano dieci o venti o forse cinquant’anni fa, ma sono cert* che ciò sia dovuto alla maggior disponibilità di cose, null’altro.

In fondo forse sono semplicemente pù volitive, hanno più carattere e le idee più chiare. Parlano prima, è ovvio che chiedano anche prima. Sono più intelligenti; anche più belle. Beh, per essere sincer* dovrei dire che le trovo più attraenti, più affascinanti, più complesse. Hanno sempre un’aria più grande di quello che sono. Si sanno vestire. Si sanno perfino truccare. Sono precoci, questo sì.

Qualcosa in effetti è cambiato, ma sicuramente in meglio. Sanno ballare molto presto, e spesso anche cantare: hanno un gran senso del ritmo. Sanno occupare la scena e attirare gli sguardi (e i riflettori) su di sé. Si può dire che realizzino il loro scopo "naturale" già nei primi anni di vita, un vero trionfo rispetto ad aspettative e tradizioni millenarie: vere donne, fin da piccole.
Del resto, in tutto ciò sono aiutate: non è un caso se le bambine odierne sono così abili a muovere i fianchi e per contro poco inclini a perdersi nei boschi, incontrare lupi cattivi, mangiare crostate di frutta fatte in casa e dialogare con ranocchi. Oggidì i loro corpi hanno modo di svilupparsi armoniosi grazie ai molteplici impegni sportivi cui hanno facile accesso, seguite da validi trainer che sanno consigliarle anche nell’alimentazione, molto meglio di qualsivoglia libro di ricette o antiquato consiglio nonnesco.

Un grande avanzamento culturale, dunque. Oggi le fanciulle crescono sane grazie alla protezione di cui usufruiscono, nelle loro case, palestre e scuole comode, lontane dai pericoli, igienicamente controllate. Niente sporco, terra, fango, sassi con cui farsi male: locali climatizzati e supplementi alimentari. Precoce capacità di muoversi sulla rete identificando ottimi siti per lo shopping da casa. Niente incidenti all’aria aperta o bacche velenose. Sono fortunate: belle, intelligenti, flessuose, atletiche, protette, interessanti e ricche.

Il fatto miracoloso, imputabile a una grande capacità di sfruttare a volte anche il poco fino in fondo, è che perfino se i loro genitori non sono particolarmente abbienti loro riescono sempre ad assomigliare a delle bambine ricche, piene di giochi, bambole, telefonini, vestiti, cartelle, diari. E hanno un formidabile gusto nello scegliere: solo le cose più costose, di marca; e tutto in tinta.

Tutto rosa, per dire la verità. Pare che il gusto nell’abbinamento dei colori, oggigiorno, si sia evoluto al punto che non si abbinano più solo nell’individuo, ma in modo transpersonale. Solo le femmine, però, hanno raggiunto questo livello eccelso di raffinatezza. Ho visto intere prime elementari in cui, mentre i maschietti creavano, come pare che loro si addica, una gran confusione, le femmine offrivano una splendida panoramica di un rosa omogeneo, pervasivo, incredibilmente coordinato fin nei minimi dettagli, nell’abbigliamento come negli accessori.

E poi il femminismo ha di certo lasciato un segno positivo, anche se non tutti sono d’accordo. Le bambine di oggi hanno idee chiare anche culturalmente; ad esempio nella scelta delle loro prime letture, non si contentano più di leggere fumetti di un tipo qualunque. Invece che Topolino, le bambine di oggi leggono Minnie. Insomma, non devono aspettare di esser grandicelle per accedere a contenuti fatti su misura per loro.

Per non parlare della costruzione della loro personalità: hanno conquistato una vera consapevolezza della loro identità di genere, anzi, oserei dire della loro sessualità. Non più costrette a nasconderla fino ad un’età più avanzata, sanno mostrarla con molta naturalezza già verso i tre-quattro anni: avrete notato certamente quante bimbette sulla spiaggia indossano il due pezzi, e non di rado portano minuscole simpatiche ciabattine di gomma con un filo di tacco!

Dimentiche di un tempo ormai superato in cui l'obbligo dell'originalità spingeva le bambine di ieri a un'eccessiva ricercatezza e distinzione, le bambine oggi si sono gettate quell'egocentrico snobismo dietro le spalle e hanno raggiunto uno standard di superfemminilità splendidamente omogeneo ed accurato, facile da mettere insieme e da replicare: un'eredità preziosa e funzionale anche per quelle che verranno.

Qualcuno potrebbe essere tentato di leggere in questi eventi un segno dei tempi che cambiano, e forse sì, è vero, è in corso un’evoluzione generale. Tuttavia devo dire che la sostanza rimane immutata: le bambine erano e sono belle, brave e intelligenti, dolci e obbedienti. Anche se, avendo più carattere, spesso protestano e piangono tutte le loro lacrime (cosa che com’è noto ai genitori italiani si addice alle bambine più che ai maschietti) le bambine di oggi hanno ben chiaro il loro ruolo futuro, pur se con un’idea della loro indipendenza e sessualità certamente più marcata di un tempo. I giochi che scelgono non sono cambiati: bambole, passeggini, carrozzine, set di cucina completa, casa della Barbie. Certo c'è stato uno sviluppo: i giochi sono più complessi, adeguati alle moderne tecnologie di telecomunicazione, le bambole piscianti non sono più un problema e i corredi sono aggiornati con tutto l'occorrente per la vera casa interfacciata: ad esempio, un sensore attiva un allarme che avvisa il robot badante della necessità di cambiare il piccolo, mentre i movimenti delle bambole più grandi sono monitorati atraverso chip inseriti nei vestitini, cosicchè non ci sia mai di che preoccupparsi e rimanga anzi del tempo libero. Inoltre, dai giorni in cui l'unica bambola con i seni era la Barbie, n'è passata di acqua sotto i ponti. Tramontata l'era dei supereroi, le nuove supereroine, audaci, sportive e scattanti, mostrano chiaro il segno della loro armoniosa femminilità.

Le bambine di oggi, come e più di un tempo, sono perfette miniature delle loro madri, anzi prefigurazioni di future madri migliori, grandemente aiutate in questo dai numerosi modelli che vengono forniti loro da un ambiente domestico e sociale che vieppiù supplisce alle carenze inevitabili delle madri e dei padri, del loro tempo, della loro disponibilità a mettersi in gioco e capacità di orientarle, crescerle, amarle, renderle libere e cosapevoli, capaci di essere se stesse e di costruire piano piano la loro singolare identità e una sana relazione col mondo. Che cosa potrebbero ricevere di più?

Che dire, infine, di questa generazione di bel(ve)line? che siano un po' posticce, omologate, nutrite di pillole, iperprotette, carcerate fra quattro pareti, molto condizionate e poco educate, circondate di beni di consumo e di modelli stereotipati, regredite a oggetti iperprogrammati di una cultura di rinnovato sessismo, bimbe dall'orizzonte rosa pronte a sculettare davanti al primo cavaliere azzurro che si presenti via internet, poi al secondo, e al terzo?
No, niente banali invettive, per oggi, le bambine meritano di meglio. Io ho detto la mia: a voi la riflessione.