domenica 30 agosto 2020

l'invettiva della quarantena - non l'unica ma forse la più sentita

marzo 2020
caro sindaco Beppe Sala,

mi ritengo una persona fortunata perché nonostante la mia piccola impresa abbia dovuto chiudere da oltre un mese, nonostante gli ammortizzatori sociali copriranno solo una parte delle spese e non parliamo delle perdite, nonostante io sia in lutto in questi giorni - non importa se per covid o non per covid, un lutto è un lutto e basta - come molte altre persone e non sia potuta andare ad abbracciare i miei cari, figuriamoci a un funerale, nonostante tutto questo sono fortunata, sono una persona zeppa di privilegi, non mi manca il cibo, perderò dei soldi ma probabilmente riuscirò a rialzarmi, ho accanto una persona meravigliosa e sono circondata - a distanza di sicurezza - da altre persone belle con le quali c'è affetto e spesso intesa e solidarietà rispetto ai valori fondamentali della vita, sociale e non. grazie ai miei privilegi e alla mia forza ho ancora una testa pensante, come del resto milioni di italiane e italiani, e se ho personalmente meno motivi di rabbia delle persone più sfortunate non significa che la mia rabbia non sia potente.
per questo non sopporto più il tuo spot quotidiano fatto di slogan che tanto somigliano a una campagna per far brillare la tua persona con poche vuote ma risonanti parole. e non preoccuparti, se Gallera volesse competere con te la sua estrema povertà interiore, mentale ed etica verrebbe a galla in un attimo, i milanesi non sono cretini.
invece di pensare alle future distanze sociali da imporre con qualche nuova legge ad alcuni settori, mentre sperabilmente la gente potrà continuare a ballare, sbaciucchiarsi e accalcarsi in miliardi di altre situazioni, occupati del presente in modo accurato, e se proprio vuoi parlarci ogni pomeriggio fallo pensando a persone che sono tue pari, persone intelligenti, capaci di comprendere la verità, capaci di sospettare quando sentono la superficialità, capaci di occuparsi in futuro delle menzogne che alcuni in questo frangente hanno raccontato, capaci di comprendere gli errori solo se vengono ammessi con onestà. onestà che dovrebbe portare quelli come te ad essere più dubbiosi anche in pubblico della propria competenza e intelligenza, più umili,, più attenti, profondi e accurati nelle parole e definitivamente attenti a non produrre nuovi ragionamenti bizzarri sotto forma di - lo ripeto - slogan.
è giusto vendere i pennarelli, ma non c'è bisogno di proclamare la "battaglia dei pennarelli". non è un gioco!
è giusto pensare al futuro, ma non è giusto pensare di sistemare la coscienza e dare fiducia alle persone progettandolo, il futuro, con rinnovato semplicismo, così simile a quello dei vostri primi provvedimenti milanesi (e non solo, certo). state tranquilli, attueremo dei bei dispositivi di distanza sociale od altre balle che ricadranno sulle spalle di pochi, qua e là, di nuovo categorie a caso, per rassicurare falsamente molti.
ancora i cinema? le code agli stadi? e non parliamo di quello che è stato fatto a Milano e in Lombardia rispetto ai mezzi pubblici. pensi davvero che le persone potranno avere una vita più sicura distanziandosi artificialmente in alcuni luoghi della città? quali? con che criterio? questo tuo brillante pensiero lo hai partorito insieme agli scienziati competenti? avete approfondito la questione? avete pensato alla ricaduta che avranno i vostri inni a un futuro di maggiore distanza sociale? cosa dovremmo concluderne? che dobbiamo attenderci una pandemia all'anno e quindi stare vicini solo in contesti stabiliti? quali? per quanto tempo?
assumersi le responsabilità di quello che si dice è possibile solamente se si è onesti e scrupolosi, altrimenti è impossibile farlo. occorre essere precisi, dire la verità e farlo con umiltà. ti è possibile farlo, sindaco? se non ci riesci, che cosa ne devo dedurre?
è giusto occuparsi dei poveri e di chi si impoverirà, questo sì, è giusto occuparsi del presente, perché siete stati tutti in ritardo e lo siete ancora, avete tutti sbagliato, avete tardato e poi per recuperare avete ripetuto tormentoni, rimproveri ai runner, proclami anti-ora-d'aria indirizzando la rabbia dei cittadini contro le categorie sbagliate, avete fatto degli spot alternativamente ottimisti e pessimisti quando bisognava subito ammettere colpe ed errori del passato e del presente e delegare i competenti - i medici e gli scienziati, gli statistici e i ricercatori - a spiegare giorno per giorno cosa emergeva dalla loro esperienza e dalle loro ricerche in fatto di salute, prevenzione e protezione...
siete stati imprecisi, avete di proposito amplificato numeri senza intelligenza delle statistiche per aumentare il terrore al fine di farci farci stare a casa nel peggiore dei modi possibili, obbligando altri a lavorare spesso in condizioni di non sicurezza, mentre le vere protezioni nei confronti dei soggetti più deboli, degli anziani, delle famiglie povere, del personale sanitario e dei degenti ricoverati da prima del coronavirus erano e sono ancora insufficienti, le regole di comportamento sono mal spiegate, e tu per primo hai impersonato l'oscillazione della politica italiana tra eccesso e insufficienza, tra il rigore minaccioso e la comprensione altrettanto paternalistici di una amministrazione che non ha compreso appieno il vero senso del suo ruolo. siamo in una democrazia, sei un nostro rappresentante eletto o uno dei tanti piccoli monarchi d'Italia?
ormai lo sappiamo tutte e tutti che la sanità pubblica in lombardia andrà riformata e potenziata. ma non basta. io mi aspetto responsabilità, accuratezza, coraggio e umiltà.
lo scrivo a te, sindaco, che sei venuto - autoinvitato! - col cappellino di Nolo nel mio cinema a farti promozione, perché sono milanese e mi aspetto che il mio sindaco, il sindaco di Milano, impari a onorare il posto che ricopre nel tempo che gli rimane prima della fine del suo mandato. sarà difficile? forse, ma se il lustro, il lusso, il potere, il denaro, la comodità che le nostre carriere ci procacciano non diventeranno valori secondari di fronte al necessario imprescindibile rispetto dei propri concittadini, all'etica e alla solidarietà sociale non andremo da nessuna parte, se non forse verso una reazione dal basso che potrà esplodere in malo modo perché le micce sono già tutte comprensibilmente accese. e io la mia non ho voglia di spegnerla

martedì 13 marzo 2012

la virgola è etica

Ero in biblioteca. Ho preso da uno scaffale un importante catalogo di un'importante mostra che si è tenuta in un importante museo italiano. Ho sfogliato qualche pagina. Brutta scrittura, ma pazienza. Confusa, capricciosa. Mi salta all'occhio una virgola tra soggetto e predicato. Poi un'altra. E un'altra. E un'altra ancora. Ne prendo un secondo. Altra mostra, ma lo stesso museo. Stessa penna, stesso problema.

Forse in tempi in cui si auspicano e in parte si producono multiculturalità e pluringuismo la correttezza della lingua in sé, madre o non madre che sia, passa in secondo piano.
Forse la grande attenzione odierna per dialetti e idiomi locali non lascia molto tempo alle persone per impadronirsi anche della 'lingua nazionale'. In fin dei conti, poi, il concetto di nazione, così travagliato, sembrava già obsoleto tanti anni fa.

Ma ho imparato che il tempo dei costumi, dei mores, dell'evoluzione dei concetti non scorre lineare.
Come non scorre lineare alcun tipo di 'progresso'.

Da molto tempo, siamo in un'epoca di parziale – ma decisa – retrocessione di alcuni dei più alti valori laici e civili della società italiana ed europea, che sembrava aver fatto passi così importanti e decisivi negli anni del dopoguerra.
Viviamo l'onda lunga della frenata iniziata alla fine degli anni Settanta, quando cominciò a manifestarsi la reazione conservatrice nei confronti dissenso giovanile e operaio. Una reazione complessa, che ha potuto far sentire i suoi effetti in maniera profonda a partire dalla metà degli anni Ottanta, e ci siamo ancora dentro in pieno. Ma solo chi ha vissuto in quegli anni si rende conto della gravità della regressione, tanto più grave quanto più camuffata, mimetizzata, e ignota ai più giovani.

Nello stesso tempo, però, il progresso economico ha cominciato a mostrare di essere un'illusione. Così, se da un lato c'è stato un regresso morale originato dalla volontà di governi, istituzioni, poteri borghesi e religiosi di tornare a difendere il capitale privato da un 'eccesso' di libertà sociale ed etica, dall'altro, oggi esiste un nuovo modo di essere conservatori – ed aveva perfettamente ragione l'onorevole Santanchè, qualche sera fa, a dire in televisione che oggi la piazza esprime valori conservatori.

La piazza, o almeno una bella parte di essa, vuole conservare quel poco di bene pubblico residuo. Quel poco di valori morali atti a contrastare l'amoralità dei poteri economici. Quel poco di valori laici e civili atti a preservare la libertà e i diritti degli individui.

Solo che a fronte di questi valori conservatori della 'piazza' non ci sono, come intendeva Santanchè, valori rivoluzionari, ma altri valori conservatori. È la conservazione del bene dei molti che lotta contro la conservazione del bene dei pochi. Quest'ultimo si ammanta di termini pseudoprogressisti, usa la parola 'libertà'. Ma sono libertà a volte illusorie, a volte nocive, inadeguate a portare soluzioni alla crisi attuale, spesso usufruibili da pochi.

Anche quei pochi, a mio parere, dovrebbero stare un po' attenti. Da quando sono diventati 'così pochi', perché alcuni di loro sono usciti di scena, dovrebbero rizzare le orecchie, aprire gli occhi, aguzzare l'ingegno, perché la mannaia della scena internazionale se ne piglierà molti altri. Ormai lo sappiamo. Non è che gli imprenditori siano buoni o cattivi. Ci sono i buoni e i cattivi. Alcuni hanno iniziato a suicidarsi. Forse erano buoni, forse cattivi. Di certo a quelli che restano converrebbe fermarsi a riflettere, perché il vento ha fatto il suo giro, e i privilegi dell'Occidente stanno terminando il loro corso.

Ora, non è che si possa discutere che un progresso medico, scientifico e tecnologico siano avvenuti. Quel che si comincia a discutere è se siamo davvero consapevoli della portata di questo progresso, delle sue conseguenze e soprattutto del suo significato.
Cominciamo a diventarne consapevoli, ecco il fatto.
Diventiamo consapevoli che il progresso non porta benessere, qualità della vita ed equità sociale, ma crea pigrizia, vittimismo, attaccamento smodato a beni e strumenti che spesso peggiorano il nostro modo di vivere, rendendoci più sedentari, provocando problemi fisici e psico-sociali, rendendo inutile (e sgradito!) in molti luoghi del pianeta il già scarso lavoro manuale e purtroppo il lavoro in generale, promuovendo un commercio a grande e grandissima distanza spesso del tutto assurdo, causando un inquinamento sempre crescente, ingigantendo ogni giorno di più il potere di chi ha già il potere economico e finanziario, che tende sempre più a restringersi nelle mani di pochi. Eccoci di nuovo lì.

Chi saprà mantenersi a galla nelle nuove economie globali, che sono basate non solo sullo sfruttamento di una manodopera a basso costo – che non siamo noi – ma soprattutto sul potere d'acquisto di miliardi di cinesi e indiani, e non sul nostro?
Come dire, contiamo come il due di picche. Per non affondare ci vuole vera, umana e complessa intelligenza, perché la semplice furbizia non ci porterà lontano.

Dunque, di fronte a tali problemi, chissenefrega se un direttore di uno dei più importanti musei d'Italia scrive sistematicamente – nelle introduzioni ai cataloghi delle sue mostre, nei saggi critici – inserendo la virgola tra soggetto e verbo.
Forse la 'comunità accademica' si è abituata a questo genere di cose, e ormai tace, annichilita, o indifferente.

Eppure no. La virgola è importante. Quella virgola di troppo mi dice che questa persona, che, data la sua posizione, ha una enorme responsabilità culturale, ha smesso di riflettere. Ha smesso di fare attenzione. Ha smesso di usare il cervello e l'autocritica. Forse non l'ha mai usata. Allora chi ha messo lì questa persona ha fatto un grave torto al Paese.

La virgola è il segno del respiro tra le proposizioni. Senza quel respiro, o inserendolo dove non va, si crea l'equivoco. La sintassi corretta è il segno della capacità di costruire un discorso chiaro per tutti, comprensibile anche quando complesso.
C'è una comunicazione che non ne ha bisogno, ed è la comunicazione che semplifica, che usa gli slogan, gli effetti speciali, i punti esclamativi, le faccine. Ma quel tipo di comunicazione si ferma a un certo livello di facilità.

Se vogliamo approfondire, abbiamo bisogno della sintassi. E se non approfondiamo, il progresso ci porterà via con sé, insieme all'ignoranza, al PM10, al mal di schiena, alla disoccupazione, alla furbizia di pochissimi e alla disperazione di molti.

lunedì 3 ottobre 2011

gelmini: molti neutrini, pochi neuroni

Ho passato nove anni della mia vita lavorando all'università, come 'assistente'. Un mestiere che non esiste.
Dopo la laurea, la carriera universitaria non mi era parsa una via percorribile. Poi, trovato un lavoro che mi permetteva di gestire un po' del mio tempo, lo è diventata: e in quel momento qualcuno mi ha chiamata.

Una vera fortuna.

Sono iniziati lì, i nove anni.
Lungo la via, tutto bene. Il tempo scorreva veloce come accade del tempo che si sente impiegato utilmente, e mi piaceva, e ne sono grata, nonostante tutto quel ch'è successo durante e poi, a chi me l'ha permesso.

Chi me l'ha permesso ha però permesso anche che si svolgesse un tipico rituale di sfruttamento a catena, basato sull'amicizia e sulla fiducia, sulle vaghe promesse e, ahimé, sulla mia disposizione ad ascoltare l'altrui continuo piagnisteo, le chiacchiere e i progetti personali di qualcuno di altamente inattendibile, inaffidabile. Comunque sia, il problema non è stato che costui fosse matto, ma che intorno ci fosse l'indifferenza più totale ai meccanismi personalistici con i quali sono stata 'assunta' e 'licenziata'.

Quando l'ho capito, cessata la mia pazienza, entrata in crisi l'amicizia, interrotto il pur modico flusso di denaro che ricevevo, il mio 'rapporto di lavoro' si è concluso, di botto e senza appello.

Mi sono messa a fare un dottorato, con la borsa. Tre anni di ricerca pagata, fa nulla se non era una paga da nababbi. È stato bello. Mi è sembrato di percepire anche della solidarietà.

Ma la solidarietà, nella classe universitaria, è una chimera. Raramente è diversa dalla protezione di una casta. E io ne ero fuori, come la maggior parte dei precari.

Sono stati tre anni intensi, ma altri tre anni di illusioni. Mi sembrava di nuovo di vivere in un paese possibile, dove esistessero regole a tutela del lavoro delle persone.

Nel frattempo, è passata la mannaia di questo Governo: fine dei concorsi, fine delle sostituzioni per i tanti che vanno in pensione. Ma non è più di me che voglio parlare.

Vanno dette alcune cose. Primo: l'assistente, il lavoratore che non esiste, ha tenuto spesso le fila, o ancora le tiene, dell'andamento di un corso, sorvegliando la smemoratezza del docente, rispondendo alle sue email, correggendo le tesi che lui/lei non leggeva, dando supporto, tenendo lezioni tappa-buchi. Tutto questo sulla base di una relazione di fiducia che mescola(va) informalmente privilegio e sfruttamento.

La riforma Gelmini ha avuto un triste “pregio”: accelerare la presa di responsabilità da parte di molti docenti che, di fronte all'impossibilità di pagare e poi piazzare i loro aiutanti, han deciso di far da soli.
In realtà, la riforma non ha fatto che accelerare il processo già in atto di riduzione dei contratti e delle borse e regolarizzazione dei compensi simbolici, destinati a chi se li può permettere. E confermare il destino dei ricercatori: fare i professori – con poco o nessun tempo o denaro per la ricerca – a vita, pagati assai meno di quelli 'veri', a tal mestiere deputati.

Tagliate molte discipline, accorpate altre – a volte anche con buone ragioni – i grandi privilegiati, cioè i professori già strutturati, e i piccoli privilegiati, cioè i ricercatori, si sono sobbarcati di un po' di lavoro in più, mentre molti contrattisti andavano a casa. Gli altri, i contrattisti rimasti, sopravvissuti alla mannaia, chi sono?
Sono i volontari di lusso, i volontari dell'eccellenza: eccellenza in cambio di prestigio. Intellettuali in carriera o pensionati con un reddito alto, che permette loro di aggiungere al loro curriculum una 'perla': il fatto di insegnare all'università. "Tuttogratis", o tutt'al più per un piccolo emolumento, una sorta di rimborso spese.

Fuori dunque gli sfruttati di buona volontà, i neolaureati, i dottorandi, gli studenti, i giovani studiosi capaci di barcamenarsi in qualche modo con due o tre lavoretti. In una parola: fuori i giovani.

Dentro chi ha già un reddito sicuro. Così la Gelmini risana il sistema ed evita lo sfruttamento! Anche Napolitano ha protestato contro la normativa, contenuta nell’articolo 23, sui contratti di insegnamento riservati agli 'esperti': la riforma chiede che per diventare professore a contratto (gratuito) si abbia un reddito esterno da quello universitario di almeno 40.000 euro lordi, una proposta pensata del resto, pare, da quei geni del PD, che quando mettono le mani nella cultura (vedi Veltroni) ne combinano di tutti i colori. Le intenzioni erano naturalmente buone, mettere fine alla pratica definita «precarizzare i ricercatori».

Come ha notato Napolitano, però, la norma introduce una limitazione oggettiva (il reddito) ai requisiti di carattere scientifico e professionale. E io aggiungerei: non la introduce, la radica e la legalizza ancora di più, perché il nostro sistema universitario è basato da sempre, tacitamente, sul reddito: da sempre, se non hai i soldi e quindi anche le conoscenze giuste, nell'università fai fatica, e se sei tenace arrivi al massimo al dottorato. Da sempre dovevi avere un po' di agio economico per poterti permettere la gavetta gratuita, unico modo per farsi davvero conoscere e 'misurare' da qualche docente, per essere introdotto alle persone che contano. E c'è da vincere concorsi, borse, posti. Ogni concorso è una possibilità per quelli che contano di usare il loro potere, manipolando le carte. Diventi merce di scambio.

Certo c'era anche il buonsenso di molti professori che almeno tentavano di operare, pur sulla base di queste premesse, la selezione dei migliori, e di accompagnarli lungo un cammino di acquisizione di strumenti, di saperi, di esperienze, preparandoli e promuovendoli all'interno della comunità scientifica.

Oggi stravincono i contratti a pochi euro, il risparmio totale, appoggiato sul senso del dovere o sulla fame di prestigio di professionisti e pensionati benestanti, i nuovi docenti a contratto gratuito.
La via per i giovani, e per i numerosi 'vecchi' come me che non sono ancora riusciti a entrare, è quella dei concorsi per ricercatore a tempo determinato e successiva, eventuale, conferma: un meccanismo studiato per garantire la possibilità di licenziamento finale, non certo la preparazione e la qualità. Comunque di concorsi non se ne vedono.
Quindi il problema non si pone.
I ricercatori, come detto non ricercano.
Gli studi umanistici e spesso anche quelli scientifici sono desolantemente fermi, o si muovono con tale parsimonia da prefigurare un'agonia.
La verità è che il sistema che assegna zero valore al merito e alla cultura ha ripreso vigore, con la scusa della crisi.

Ma non sono i denari a mancare, bensì proprio il riconoscimento di un valore.
È per questa assenza che non arrivano soldi ed energie pulite alla cultura. Manca totalmente il riconoscimento del valore morale, civile, interiore, umano, spirituale della cultura medesima: ed è questa stessa assenza che pompa il riconoscimento fasullo, ipocrita, l'osanna ai professori che vanno in tv, che scrivono sui giornali, che sanno vendere bene la loro immagine, che alzano la voce.

Manca il modo di utilizzarla, la cultura, nei suoi veri obiettivi. Manca la possibilità di trasmetterla con dignità. Mancano le case editrici che pagano, i periodici che pagano, gli sponsor privati che permettono vere operazioni culturali e non mediatiche, e poi mancano le risorse, gli strumenti, le leggi affinché le università, le amministrazioni comunali, le biblioteche, le case della cultura, gli istituti di studio e di ricerca promuovano il lavoro culturale e lo paghino il giusto, permettendo ai 'colti' di farsi trasmettitori sereni, né ricchi né poveri, né privilegiati né emarginati.
Manca l'appoggio alle cose fatte bene, con serietà, impegno, lentezza, analisi, passione.

Si foraggia, invece, un sistema di sfruttamento in cui la cultura è merce facilmente contabilizzata, in crediti per laurearsi, in punti per i concorsi: stranamente, a questi punti corrispondono somme precise ed elevate, quando si tratta di 'comprare' cultura: vuoi una laurea? Un master? Il sistema attuale facilita enormemente chi abbia il denaro sonante per acquistarla attraverso un bel corso privato, magari online. Vuoi 'venderla'? Beh, allora le cose cambiano. Se sei un venditore puro, un grossista, sei a posto. Ma se sei un trasmettitore di cultura, un piccolo produttore o un venditore al dettaglio, allora non resta che la svendita per pochi spiccioli. O la prostituzione per poche speranze.

giovedì 9 giugno 2011

referendum, parco agricolo di expo e altre faccende

Ieri è andata in scena la presentazione del libro di Ragghianti. Si è parlato di collegamento fra attenzione per i beni artistici e consapevolezza dei dati, dei numeri, dei fatti che riguardano la società civile; si è parlato di collegamento fra la cultura e la realtà, che poi è determinata nella sua forma dalla cultura o incultura che la governa: se n'è parlato pur senza parlare, apparentemente, di politica, pur senza nominare la parola messa all'indice, 'ideologia', perché questi sono i nostri tempi, ci sono parole che fanno paura o dan fastidio, temi che annoiano. Ma 'ideologia' non vuol dire altro che insieme strutturato di idee, pensieri, che a volte son parsi tanto belli e importanti da consentire a qualcuno di usarli come un'arma terribile, per prendere un potere e abusarne, e questo è il loro pericolo, ma sono idee, cose, insomma, da non rinunciarci.

Possiamo continuare ad avere delle idee, sembra dire il non comunista Ragghianti nei suoi cinquant'anni di scritti. Si è parlato, mi è parso, anche di quel signore anziano che tre giorni fa in una piazza piena di gente ho sentito dire che il patrimonio di conquiste sudate da tante persone della sua età e da quelli che sono morti, conquiste che poi consistevano soprattutto nel diritto ad avere una voce nel proprio paese, non va gettato, e anche quello è un patrimonio da tutelare.
Quello stesso signore ha raccontato che per questo referendum, per i cinque milanesi oltre ai quattro nazionali, ha convinto sua suocera a recarsi ai seggi. Sua suocera ha 96 anni.

Avevo pensato a uno slogan per oggi e domani: CONVINCI UNA NONNA! Ma forse non ce n'è bisogno. I nonni e le nonne sono più pronti di noi. Allora, semplicemente, NON C'E' DUE SENZA TRE! ABBIAMO FATTO TRENTA, FACCIAMO TRENTUNO! Oppure CONVINCI TUA SUOCERA, qualunque età essa abbia. Promuoviamo questo referendum, la sacrosanta partecipazione dei cittadini è la prima difesa della salute delle idee.

I quesiti nazionali son più noti. Ecco invece il link in cui chi sostiene le ragioni dei sì di quelli comunali spiega di che cosa si tratta:

http://www.milanosimuove.it/wordpress/quesiti

Ed ecco, per il terzo quesito cittadino, quello che dice Milena Gabanelli, in chiusura di una puntata di Report, in cui i protagonisti del progetto del 'parco agoralimentare' che ora rischia l'affossamento sviscerano la questione:

In questi 3 anni tutto quello che si è deciso è che i terreni agricoli, valgono 10 volte tanto perché il progetto per cui l’Expo è stata destinata a Milano probabilmente cambia. Che cos’era questo progetto? Un’idea straordinaria, per una volta l’avevamo avuta noi, l’esposizione dell’agricoltura di tutto il mondo. Esponi il capitale naturale, ricostruendo i microclimi, lungo un chilometro con le coltivazioni dalle Filippine a quelle del Ghana dove vedi le piante del cacao,
del caffè, del tè che dall’altra parte degusti o acquisti. Un evento di formazione culturale,spettacolare e di business, ripetiamo lungo un chilometro, su un terreno agricolo che rimane tale anche quando finisce la fiera perché diventa permanente. Questo progetto è troppo rivoluzionario. Si preferisce il supermarket del cibo e i tradizionali padiglioni e quando la fiera finisce si smobilita e si edifica. A meno che il nuovo sindaco, che dovrà correre perché fra 4 anni si inaugura e c’è ancora tutto da fare, non abbia il coraggio del nuovo.

mercoledì 1 giugno 2011

ragghianti al museo del novecento: la tutela dei beni culturali

questa volta non un'invettiva, ma cinquant'anni di invettive, dati, documenti, ragionamenti, appelli, iniziative pubbliche e proposte di un grande storico dell'arte a difesa del patrimonio artistico, culturale e ambientale d'Italia. Col vento arancione sarà una serata ancora più bella. Presentano Carlo Bertelli e Flavio Fergonzi, Museo del Novecento, Milano, ore 18.00: vi aspettiamo! (cliccate sul titolo)

martedì 31 maggio 2011

buon Pisapia a tutti!

Sotto sotto non ho mai smesso di essere un pochino orgogliosa della mia città, di credere nella vitalità delle forze che in questi vent'anni non solo hanno resistito al razzismo e agli ingranaggi del capitalismo più menefreghista, ma sono addirittura cresciute, hanno trovato nonostante tutto l'energia per mantenere il filo della cultura e della generosità. Fra queste, per esempio, anche alcune ottime iniziative del Leoncavallo, come La Terra Trema. Però Milano, che già ha una temperatura rigida d'inverno, stava diventando sempre più triste. Era una Milano sotto choc, ripetitiva, stanca. E stancante.
Ho amici nostalgici, che hanno vissuto qui da studenti ormai molti anni fa. Ricordano una città piena di fermento, di iniziative, di quella cultura che nutre i cervelli, ma scende anche in piazza e mantiene sull'attenti almeno una parte della classe politica, e alla fine porta con sé una festa e un po' di consapevolezza in più per tutti.
Quando c'erano i socialisti Milano era più sgangherata, le aiuole erano piene di erbacce e nelle strade, di buche, forse ce n'erano anche più di adesso. Però era ugualmente la città più 'europea' d'Italia, una città che a elencare i nomi dei 'cittadini illustri' ci si perde, fra artisti, poeti, studiosi, e tanti che hanno dedicato la vita a cercare di fare un mondo migliore, e a ricordare le iniziative coraggiose ugualmente ci si perde, dall'ironia del vecchio Derby al Piccolo Teatro, da Altroconsumo al Fai: ma è un filo rosso che non si è mai smarrito, perché a Milano è stata fondata Emergency negli anni Novanta, e nei Duemila Terre di Mezzo con la fiera etica di Fa' la cosa giusta.
I socialisti erano corrotti, e fu inevitabile mandarli a casa (come fu inevitabile mandare finalmente in fumo la vecchia e stracorrotta DC), ma c'è stata un po' di confusione. A Milano si dev'essere pensato che la colpa, da noi come in Unione Sovietica, fosse dell' “ideologia”, e si è cercato chi potesse mettere un po' d'ordine. Ma si è confusa l'ideologia col partitismo, la vitalità col disordine. Ricordo che tanti hanno gioito perché i nuovi amministratori parlavano soprattutto di aiuole fiorite e di benessere. Milano è anche una città dove è più facile illudersi di poter diventare qualcuno dal nulla, e il benessere è un'illusione data dal fatto che qua tutto costa caro, compreso il lavoro. Se puoi pagarti un affitto a Milano, vuol dire che ce l'hai fatta.
Non so se è anche per questo che la gente ha smesso di pensare, rincorrendo l'illusione e barcamenandosi fino alla fine del mese, o se la gente si è solo trovata con le spalle al muro, senza alternative valide. Perché ai tempi di Dalla Chiesa c'era il caos di tangentopoli, poi, a poco a poco, le deludenti trasformazioni del PCI non hanno aiutato i vari Fumagalli, Antoniazzi, Ferrante. Per tanti motivi, la città dei cittadini si è indebolita, si è lasciata guidare e anestetizzare, si è sospesa nel tran tran quotidiano, fluttuando fra la necessità di lavorare e il bisogno di farsi indifferente al peggioramento graduale della qualità di vita, all'aumentare del traffico e dello smog, alla chiusura dei negozi di quartiere e dei cinema, al crescere dei costi, allo scarso o nullo sostegno comunale agli asili e alle scuole, alla chiusura delle scuole civiche, alle crescenti difficoltà per gli anziani di trovare una dimensione urbana adatta anche a loro. I cittadini si sono dimenticati delle piazze. Soprattutto, si sono scordati di contare qualcosa, hanno delegato troppo, e attutito le delusioni come potevano.
Pisapia non ha ancora raggiunto tutti, ma a molti, con garbo e semplicità, ha ridato la sensazione di avere un ruolo nella loro città, e io gli auguro di cuore che questa gentilezza arancione sia sempre più contagiosa. E che questo contagio milanese, ma anche di Napoli, Trieste, Cagliari, Rho, Rivolta, Limbiate, Vergiate, :)... e di tutte le altre città che hanno fiducia nel potere dei cittadini di cambiare le cose, porti bene ai referendum di giugno.

giovedì 26 maggio 2011

la fine arriva per tutti

Basta! Qualcuno la spenga. L'Italia non ha bisogno di questa chiacchiera erosiva, continua, che assorda e brucia le cellule grige del paese con la sua desolata, cigolante insistenza. Ogni giorno la macchina da parole del premier riesce a coniare un nuovo piccolo slogan che si aggiunge ai vecchi, senza novità, rinforzando il massiccio rumore di ferraglia che procede, e procede, estenuante, imponendo ai nostri timpani il ritornello di un disco rotto. Ogni giorno mi chiedo quale premio meriti il proprietario della vocetta che, pur così ripetitiva, riesce ad aggiungere ogni volta una piccola trovata: alla stupidità o alla furbizia? Sotto sotto, spero che la fossa che si sta scavando sia finalmente larga abbastanza da farcelo cadere con il suo marchingegno bisunto. Forse il momento è giunto.
Non so che effetto faccia tutto questo a chi lo sostiene ma a me fa l'effetto di un'offesa costante, di un continuo tentativo di avvilire non solo chi la pensa diversamente, ma semplicemente chi prova, per una inveterata e sciocca abitudine alla responsabilità, a pensare e a seguire il buon senso. Chi pensa non ha molte alternative: o sostiene la sua baracca – che però è un'operazione per lo più contraddittoria – o incappa nell'anatema, finisce fra i terroristi, fra gli autori della congiura ai suoi danni, fra chi complotta per non dargli il seggio imperiale a vita. Italiani, lui governa, lui sistema le cose, lui pensa: chi non ci crede, o dubita, o prova a pensare con la sua testa va all'indice, diventa una espressione di violenza anti-lui, perché tutto ciò che non viene da lui è anti-lui.
Forse però questo rumore così molesto, stridulo, che a volte mi ha intimorita per il pericolo in cui ha messo e mette il mio paese (pericolo di lenta ma progressiva degenerazione delle strutture democratiche e della cultura della responsabilità di tutti i cittadini), sta diventando una filastrocca innocua. Forse anche la macchina megafonica di questo presuntuoso napoleone de noaltri, per quanto continuamente oliata, a furia di ripetersi sta per esplodere dall'interno, a causa del suo stesso difetto di costruzione.
Forse è ora di darle un colpetto per aiutarla a smettere di soffrire.
Ma la cosa migliore, invece, credo sia smettere di occuparsene, perché la malattia può passare se non la si guarda troppo, se si arriva a una reale indifferenza, che non sia abitudine-prodromo dell'accettazione, ma vera e sana indifferenza, ricominciare a respirare e a muoversi, rafforzarsi nel proprio cammino di libertà anche quando i valori di democrazia, di solidarietà, di fratellanza sociale, di attenzione al bene comune, di rispetto, di cultura, di intelligenza, di consapevolezza, anche quando questi valori dicevo sono stati fiaccati, obliati nella loro storia, apparentemente annullati dalla crosta di intrattenimento televisivo con cui la vocetta tenta di divertire gli Italiani, pensando che così continueranno, con gratitudine a votarlo per sempre. Ma di televisione non campa né lo stomaco né il cervello, e questo, prima o poi, gli Italiani lo capiranno.