giovedì 30 ottobre 2008

registi americani di sinistra

Into the Wild: come dice Crespi dell'Unità pur non essendo un capolavoro, può far innamorare. Ma è giusto innamorarsi di simili film - e di simili personaggi? Brontolin tenterà ora di fornire un antidoto per chi sia stato vittima del maleficio, con la speranza che sia non tanto letta come un'invettiva contro Sean Penn, quanto come un modesto contributo a chiarire meglio che non sempre onestà e coerenza sono presenti in tanti film che hanno il difetto di abbindolare facilmente. E tanto peggio se il regista dichiara di avere una missione morale e politica!

il problema, con questo film, è che si tende a giudicarlo attraverso l'idea che ci si forma del personaggio. Invece bisognerebbe andare oltre il personaggio, che può essere capito solo se si capisce il film!
ecco, in sintesi, il percorso creativo che ha stratificato tre costruzioni diverse dello stesso mito americano, producendo Into the Wild (taccio molti dettagli, naturalmente).

1) prima Christopher McCandless, nutrito di letture come Tolstoj, London e Thoreau, straccia la propria identità per costruirsene una nuova, con tante buone intenzioni e coraggio, ma anche con tanta polpa di stereotipi. infatti, ben oltre i viaggi solitari degli scrittori beat, alexander supertramp veleggia sicuro verso un autoconsacrazione-fusione con l'immensità e libertà della natura, rispetto alla quale forse la morte non era il finale previsto. Forse sotto sotto prevedeva di tornare a casa e diventare un famoso scrittore, a partire dalla propria autobiografia romanzata: non per niente scriveva un diario in terza persona!
perchè la natura che Alexander ha in mente non è neutra, è quella appresa attraverso strati e strati di accumulazioni culturali, è la wilderness americana, pericolosa, affascinante, ma anche e soprattutto legata a un senso mistico di predestinazione alle grandi cose che tocca tutti gli americani, proprio perchè gli americani sono identificati da questo:
gli americani non sono il popolo eletto perchè vi deve nascere il messia. sono il popolo eletto perchè hanno costruito la propria identità attraverso il viaggio e la conquista della natura selvaggia, hanno sfidato l'immensità degli spazi, hanno coabitato con l'ambiente più ostile, vi hanno stabilito la propria piccola cellula abitativa, e nella solitudine hanno trovato il proprio orgoglio e la base del proprio diritto di proprietà (e di espansione ad libitum).

2) per secondo arriva Jon Krakauer, l'alpinista-giornalista, che unisce il mito al borsellino, l'utile al dilettevole, e come un vero attore addestrato sul metodo Stanislavski s'immedesima, ripercorre le tappe di Alexander, ricostruisce il suo cammino, incontra le stesse persone, succhia le stesse visioni, patisce lo stesso gelo e infine scrive un best-seller!

3) last but not least, ecco Sean Penn, che stanislavski ce l'ha nel curriculum, eccolo leggere il libro, rifare la stessa cosa, costringere anche la troupe a scalare collinette con tutta l'attrezzatura e ricreare visivamente il mito, romantico-americano mito dell'uomo che, diversamente dal romantico europeo, nel confrontarsi con l'immenso, non scompare né resta minuscolo testimone, ma a sua volta giganteggia, conquista le altezze dei monti e soprattutto le profondità del proprio spirito e le mitizza, le mostra come modello da imitare, santo e martire di un'idea di libertà individuale che seppur sconfitta sul piano materiale - perchè di sconfitta si dovrebbe trattare - invita a seguirlo, ciascuno nel suo piccolo, ciascuno a costruire a modo suo il proprio mito di libertà per poi ...consacrarlo alla famiglia. Come ben s'intuisce dalla chiusa.

non per niente, come giustamente ha notato paola, un film che dovrebbe trattare di un rifiuto, di un sottrarsi al benessere e alle "cose". è fatto invece con uno stile ricco, patinato, alla National Geographic, uno stile che assomiglia di più alla provenienza di Cristopher, che alle peregrinazioni di uno straccione!

ma come fanno quelli di Report, voglio ora aprire anche una piccola finestra di positività elogiando un altro film fatto da registi e attori "impegnati". apparentemente stupido e privo di significato, è in realtà un film cui non difettano quelle qualità di onestà e coerenza che Into the Wild non contempla, e che infatti è assai più riuscito, nella mia modesta opinione.

i due perfidi Coen, fratelli quasi siamesi continuano ad alternare film più intensi e film più leggeri: con Burn after reading - A prova di spia si sapeva già che toccava alla leggerezza. Mai peraltro esente da ironia e sarcasmo: il focus è l'assurda piccineria scombinata e ridicola delle motivazioni e delle scelte che guidano i personaggi in gioco.

E poichè i Coen, a differenza di Sean Penn e di molti altri, sono di quelli capaci di adeguare stile e struttura a ciò che vien narrato, o meglio ne fan tutt'uno, ne viene fuori un film che, per l'appunto, gioco scombinato e ridicolo è.

Ce lo conferma genialmente la chiusura.

Non è il capo della CIA a parlare con il suo vice, ma sono gli stessi Coen, che si pongono l'un l'altro la fatale e qui spassosa domanda. Una domanda che - fuor dalla battuta - molti dovrebbero porsi un po' più spesso, con la stessa onestà nella risposta.

Che cosa abbiamo capito da tutto questo?
Abbiamo capito che non lo dobbiamo fare più.
Già, solo che non sappiamo che cosa abbiamo fatto!

mercoledì 1 ottobre 2008

aggiornamento sondaggio brioche e socialità

Terminato il primo sondaggio, mie/i care/i, il risultato è il seguente: solo quattro votanti (eppure il traffico qua sopra comincia lentamente a infittirsi); vincono i sì alla crociata antibrioche surgelate con il 100%. Solo il 50%, tuttavia, la pensa come crociata costruttiva, cioè si immagina come soggetto attivo con un suo pur modesto potere di intervento, fosse anche "solo" il chiacchierare con il barista del prodotto che smercia, magari col risultato di fare una colazione che nutre sé e gli astanti di energia, informazione, contatto e scambio. Non che per me sia facile, sono timid* con gli estranei e anche quelli meno estranei, ma penso sia importante fare lo sforzo del primo gradino, dopo il terreno si spiana e si aprono mattinate che iniziano con un colore diverso dal solito.

Contro chi dunque, l'invettiva odierna? Ma contro mutismo e rassegnazione, carissime/i, contro la timidezza come scusa, il poco tempo come scusa, la paura del conflitto come scusa. Per non cambiare mai.

Buona giornata e buone chiacchiere.