martedì 13 marzo 2012

la virgola è etica

Ero in biblioteca. Ho preso da uno scaffale un importante catalogo di un'importante mostra che si è tenuta in un importante museo italiano. Ho sfogliato qualche pagina. Brutta scrittura, ma pazienza. Confusa, capricciosa. Mi salta all'occhio una virgola tra soggetto e predicato. Poi un'altra. E un'altra. E un'altra ancora. Ne prendo un secondo. Altra mostra, ma lo stesso museo. Stessa penna, stesso problema.

Forse in tempi in cui si auspicano e in parte si producono multiculturalità e pluringuismo la correttezza della lingua in sé, madre o non madre che sia, passa in secondo piano.
Forse la grande attenzione odierna per dialetti e idiomi locali non lascia molto tempo alle persone per impadronirsi anche della 'lingua nazionale'. In fin dei conti, poi, il concetto di nazione, così travagliato, sembrava già obsoleto tanti anni fa.

Ma ho imparato che il tempo dei costumi, dei mores, dell'evoluzione dei concetti non scorre lineare.
Come non scorre lineare alcun tipo di 'progresso'.

Da molto tempo, siamo in un'epoca di parziale – ma decisa – retrocessione di alcuni dei più alti valori laici e civili della società italiana ed europea, che sembrava aver fatto passi così importanti e decisivi negli anni del dopoguerra.
Viviamo l'onda lunga della frenata iniziata alla fine degli anni Settanta, quando cominciò a manifestarsi la reazione conservatrice nei confronti dissenso giovanile e operaio. Una reazione complessa, che ha potuto far sentire i suoi effetti in maniera profonda a partire dalla metà degli anni Ottanta, e ci siamo ancora dentro in pieno. Ma solo chi ha vissuto in quegli anni si rende conto della gravità della regressione, tanto più grave quanto più camuffata, mimetizzata, e ignota ai più giovani.

Nello stesso tempo, però, il progresso economico ha cominciato a mostrare di essere un'illusione. Così, se da un lato c'è stato un regresso morale originato dalla volontà di governi, istituzioni, poteri borghesi e religiosi di tornare a difendere il capitale privato da un 'eccesso' di libertà sociale ed etica, dall'altro, oggi esiste un nuovo modo di essere conservatori – ed aveva perfettamente ragione l'onorevole Santanchè, qualche sera fa, a dire in televisione che oggi la piazza esprime valori conservatori.

La piazza, o almeno una bella parte di essa, vuole conservare quel poco di bene pubblico residuo. Quel poco di valori morali atti a contrastare l'amoralità dei poteri economici. Quel poco di valori laici e civili atti a preservare la libertà e i diritti degli individui.

Solo che a fronte di questi valori conservatori della 'piazza' non ci sono, come intendeva Santanchè, valori rivoluzionari, ma altri valori conservatori. È la conservazione del bene dei molti che lotta contro la conservazione del bene dei pochi. Quest'ultimo si ammanta di termini pseudoprogressisti, usa la parola 'libertà'. Ma sono libertà a volte illusorie, a volte nocive, inadeguate a portare soluzioni alla crisi attuale, spesso usufruibili da pochi.

Anche quei pochi, a mio parere, dovrebbero stare un po' attenti. Da quando sono diventati 'così pochi', perché alcuni di loro sono usciti di scena, dovrebbero rizzare le orecchie, aprire gli occhi, aguzzare l'ingegno, perché la mannaia della scena internazionale se ne piglierà molti altri. Ormai lo sappiamo. Non è che gli imprenditori siano buoni o cattivi. Ci sono i buoni e i cattivi. Alcuni hanno iniziato a suicidarsi. Forse erano buoni, forse cattivi. Di certo a quelli che restano converrebbe fermarsi a riflettere, perché il vento ha fatto il suo giro, e i privilegi dell'Occidente stanno terminando il loro corso.

Ora, non è che si possa discutere che un progresso medico, scientifico e tecnologico siano avvenuti. Quel che si comincia a discutere è se siamo davvero consapevoli della portata di questo progresso, delle sue conseguenze e soprattutto del suo significato.
Cominciamo a diventarne consapevoli, ecco il fatto.
Diventiamo consapevoli che il progresso non porta benessere, qualità della vita ed equità sociale, ma crea pigrizia, vittimismo, attaccamento smodato a beni e strumenti che spesso peggiorano il nostro modo di vivere, rendendoci più sedentari, provocando problemi fisici e psico-sociali, rendendo inutile (e sgradito!) in molti luoghi del pianeta il già scarso lavoro manuale e purtroppo il lavoro in generale, promuovendo un commercio a grande e grandissima distanza spesso del tutto assurdo, causando un inquinamento sempre crescente, ingigantendo ogni giorno di più il potere di chi ha già il potere economico e finanziario, che tende sempre più a restringersi nelle mani di pochi. Eccoci di nuovo lì.

Chi saprà mantenersi a galla nelle nuove economie globali, che sono basate non solo sullo sfruttamento di una manodopera a basso costo – che non siamo noi – ma soprattutto sul potere d'acquisto di miliardi di cinesi e indiani, e non sul nostro?
Come dire, contiamo come il due di picche. Per non affondare ci vuole vera, umana e complessa intelligenza, perché la semplice furbizia non ci porterà lontano.

Dunque, di fronte a tali problemi, chissenefrega se un direttore di uno dei più importanti musei d'Italia scrive sistematicamente – nelle introduzioni ai cataloghi delle sue mostre, nei saggi critici – inserendo la virgola tra soggetto e verbo.
Forse la 'comunità accademica' si è abituata a questo genere di cose, e ormai tace, annichilita, o indifferente.

Eppure no. La virgola è importante. Quella virgola di troppo mi dice che questa persona, che, data la sua posizione, ha una enorme responsabilità culturale, ha smesso di riflettere. Ha smesso di fare attenzione. Ha smesso di usare il cervello e l'autocritica. Forse non l'ha mai usata. Allora chi ha messo lì questa persona ha fatto un grave torto al Paese.

La virgola è il segno del respiro tra le proposizioni. Senza quel respiro, o inserendolo dove non va, si crea l'equivoco. La sintassi corretta è il segno della capacità di costruire un discorso chiaro per tutti, comprensibile anche quando complesso.
C'è una comunicazione che non ne ha bisogno, ed è la comunicazione che semplifica, che usa gli slogan, gli effetti speciali, i punti esclamativi, le faccine. Ma quel tipo di comunicazione si ferma a un certo livello di facilità.

Se vogliamo approfondire, abbiamo bisogno della sintassi. E se non approfondiamo, il progresso ci porterà via con sé, insieme all'ignoranza, al PM10, al mal di schiena, alla disoccupazione, alla furbizia di pochissimi e alla disperazione di molti.