venerdì 22 aprile 2011

Nube tossica dai campi coltivati. Agricoltori: delinquenti o vittime?

Zitto zitto, piano piano, un giorno di aprile nell'antico borgo di Settala arriva un invisibile ma puzzolente nuvolone. Tossico? Dicono di no, ma di certo è irritante, aggressivo, il nuvolaccio, come un gas lacrimogeno, e arriva quatto quatto sul far della notte. Una notte abbastanza calda perché a Settala ci fosse ancora in giro un po' di gente, e perché molti tenessero le finestre aperte. É subito caos. Qualcuno deve correre in ospedale, la zona est del milanese si mette in allarme. Torna il ricordo di Seveso. Secondo la tradizione, i settalesi han le gambe buone: gambe buone per scappare, questa volta, anche se in mattinata l'allarme rientra e tutti possono tornare a casa, magari per fare i bagagli per Pasqua.
Ma che fa la nostra agricoltura? I coltivatori si son “dimenticati” di coprire il diserbante con uno strato di terra, dicono. Quel diserbante non è mica anche il responsabile dei livelli di atrazina nell'acqua potabile, che di tanto in tanto superano la soglia? Ma c'è qualcuno che analizza le verdure che mangiamo per sapere se anche lì non ci siano magari un po' troppo alachlor, atrazina, cianazina, metolachlor e simazina, insomma, un po' troppe sostanze cancerogene? Sì, boh, a volte. Ma che diserbante si usa da noi? Forse il famigerato Roundup della Monsanto (non sto a spiegarlo qui e ora, ma per me è un po' come dire il nome del diavolo: fate le vostre ricerche su Monsanto, Roundup e Gliphosate)? Non è proprio a Rozzano, vicino a Settala, che pochi anni fa fu chiuso un pozzo dell'impianto idrico per via dell'atrazina? Boh. sì, forse. Ma in città va meglio! Forse. Oppure no. Come credete che manteniamo i marciapiedi e i bordi delle strade liberi dall'erba?
Ma che cosa fa, l'atrazina, oltre a far venire il cancro? Beh, niente di preoccupante: fa diventare ermafroditi i maschi delle rane (studi dell'università di Berkeley: verificate pure, non è una bufala)! Ottimo, più rane = meno zanzare, e finalmente torneranno ad aumentare le simpatiche amiche, dopo che i nuovi fantastici metodi di coltivazione nelle risaie le avevano abbattute (acqua per pochi giorni = le zanzare fanno in tempo a riprodursi, i girini muoiono). Forse anche i maschi degli umani, in futuro. Qualcuno sarà contento, ma potrebbe essere un'evenienza un pochino problematica. Chissà. non scherziamo, pare che la mutazione sessuale nel maschio umano richiedeae 600 volte la dose di atrazina sufficiente nelle rane. Quindi per ora tranquilli, niente pancione, al massimo un po' di tette (ma l'inquinamento da estrogeni si somma all'atrazina, quindi chissà...).
Ma come stanno andando le cose? Da anni ci dicono che l'uso di diserbanti e pesticidi in agricoltura sta diminuendo progressivamente (già, così dicono anche dell'inquinamento atmosferico da autovetture, ma in queste affermazioni generiche la verità è semplicemente “saltata” a piè pari), e in qualche zona sarà anche vero, ma una breve ricerca mi conduce a un documento ufficiale. Pur nella sua difficoltà di lettura e capziosità di linguaggio pseudo-scientifico ci fornisce dati che mostrano invece un ritrovamento crescente di sostanze dannose nelle acque lombarde, per rimanere in zona. Guardate infatti lo studio di Chinaglia e Fiore sul sito www.apat.gov.it. Non guardate le frasi di conclusione, ma i dati! Altri documenti ci dicono che rispetto alla provincia di Milano, Mantova e Varese sono messe peggio e l'Unione Europea ha richiesto la chiusura dei pozzi per almeno 8 località (che vuol dire che otto comuni dovrebbero rimanere del tutto a secco). Poi ci sono le zone e i singoli contadini virtuosi, che qua e là fanno migliorare le cose. Ma, ahimè. È un po' come il nucleare. L'atrazina nell'acqua è il residuo di coltivazioni di parecchi anni fa, ora non la si usa più, ma c'è ancora! Con pochi soldi, pochi ricercatori eseguono monitoraggi sempre parziali della situazione, il che vuol dire che sempre nuove sostanze possono sfuggire ai vecchi parametri, in misura crescente di anno in anno. All'agricoltura si somma la crescente “pressione antropica”, che ha ridotto la Lombardia a una città-regione il cui unico parziale argine sono le montagne. Così si monitora qualcosa, qualcos'altro sfugge, e soprattutto sfuggono le somme, i conti non tornano. E dopo che si è monitorato, che si fa? Si chiude qualche pozzo in più? O...si alza la soglia degli inquinanti ammessi nell'acqua potabile, e il gioco è fatto! Altro che rane ermafrodite: governanti tocchi! Che dire, dunque degli agricoltori, se non che si tratta di una categoria perfettamente integrata in uno scenario di mancanza di vera sensibilità e responsabilità nei confronti dell'ambiente? Vittime dunque dell'ignoranza favorita da un governo furbastro, i contadini, ma rei di condividere l'inerzia sovrana. C'è differenza fra generica sensibilità per i problemi ambientali (= oddio, è uno schifo, che orrore, ma io che ci posso fare?) e autentico, umano senso di responsabilità (= coltivo biologico, vendo o compro biologico, uso meno l'auto, compro prodotti coltivati qua vicino, la smetto con frutta e verdura fuori stagione... come primo passo!). Sono uno di quegli agricoltori che coltivano senza sosta lo stesso campo, un anno mais e l'anno dopo mais, e magari l'anno dopo frumento (fantastica pseudo-rotazione priva di senso!), negli ultimi fazzoletti di terra fra città e impianti industriali, e seguo quasi per bene tutte le linee guida fornite dalla regione e dal consorzio agrario, cioè spargo i fitofarmaci nelle dosi consigliate e poi ci metto sopra lo strato di terra previsto? Sono uno di quegli agricoltori che “non credono nel biologico” senza averci mai provato? Uno di quelli che se hanno a fianco un campo bio, circondato da molte varietà di alberi autoctoni nei filari, di quelli che servono da protezione e da riequilibrio dei parassiti, glieli abbatto perché fanno ombra sul mio campo?
Forse posso invece tornare a fare un mestiere di cui essere orgoglioso, condividere benessere invece che inquinamento, ridare un po' di salute alla mia terra, ricominciare a conoscere il mio campo e le mie piante, accendere il cervello e tornare a svolgere la mia antica funzione di tutela del territorio. Essere, insomma, un vero contadino. Oppure vendere. Ma non a un'immobiliare, grazie.

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