C'è una denuncia, forse fasulla, da parte dei buontemponi di Pontifex, che poi buontemponi non sono perché suscitano ilarità, ma non se ne accorgono. Denuncia per oltraggio al papa attuale, che secondo loro sarebbe adombrato dalla comica – ma infine anche simpatica – figura del teutonico cardinale Brummer. In effetti qualche somiglianza c'è e si può anche immaginare, a voler scatenare una fantasia un po' maliziosa, che un ipotetico seguito della storia prevederebbe l'elezione proprio di quel poco amato Brummer, individuato a quel punto dai porporati come il meno spaventato dalla carica pontificale in grazia della sua venatura di umana ambizione, ma ben lontano dal rispondere ai necessari requisiti che il bravo Piccoli esterna con voce rotta dal papale balcone. Ogni allusione a Ratzinger e a una sua carenza è resa possibile dalla scena finale, ed è ammessa dallo stesso Moretti in qualche intervista. Ma è un monito, non un oltraggio. Di quelli che gli artisti possono rivolgere ai potenti.
Ma veniamo alle invettive antimorettiane.
Ci sono lamentele generiche per il tratteggio caricaturale delle figure dei cardinali. In effetti, che caricatura qua e là ci sia, non si può negarlo, e funziona: fa ridere! Fosse stato un film cattolico, ci scommetto, la comicità dei rossi vecchietti sarebbe stata accolta anche dagli integralisti con somma compiacenza.
C'è chi condanna per cattivo gusto la scena dei cardinali che vogliono uscire per fare una buona colazione: in effetti, golosoni, Dante non li perdonerebbe. Ci sono alti lai e proteste per la scena del torneo: passi che giochino a carte, ma questo è inverosimile, si dice. In effetti, è inverosimile, e altro non si può aggiungere, a discolpa del vecchio Moretti. Ma è poi da discolpare? Qualcuno aveva per caso capito che trattavasi di film realistico?
Da questi e consimili guaiti il film uscirebbe come irrispettoso, inutile, superficiale, mal riuscito.
Ebbene il film, oltre che essere giudicato dai più interessante, serio, commovente e profondamente rispettoso, e nello stesso tempo anche equilibrato e divertente, è “utile” in quanto è bello, ma è utile anche perché provoca la messa in luce dei peggio focolai di integralismo cattolico in Italia.
Non che ce ne fosse molto bisogno. Di sentir parlare prelati ignoranti in televisione se ne han piene le tasche; e quanto all'integralismo che applica la morale cattolica a ogni piega della vita italiana ne abbiamo esempi continui. Eppure Habemus papam dice che c'è speranza, perché le reazioni negative sono poche e sparute.
Di Pontifex già si sapeva. Mai me lo sarei aspettato, invece, da Farinotti (sì, quello del dizionario, il "più grande critico del cinema del mondo", come recita la descrizione del suo fanclub, http://pinofarinotti.blogspot.com) che non conoscevo sotto questo profilo, e che è scivolato in due delle sue peggiori performance critiche: la prima è una critica preventiva, la recensione scritta prima che il film uscisse, un'esibizione funambolica che a posteriori svela tutto il suo ridicolo (il brano dà per scontato che il papa di Moretti abbia problemi con la fede). La seconda tenta di rimediare, impegnandosi altrettanto funambolicamente a convalidare il giudizio morale negativo, travestito nei panni di un assai debole giudizio cinematografico. Farinotti annaspa nel tentativo di dimostrare che l'acqua calda è calda, e cioè che l'intero film sia “inverosimile”, e a poco a poco annega nel suo stesso brodino di cottura.
Invece il film di Moretti ha del miracoloso. Mostra la salute del pubblico e anche di una parte della critica italiana. Ecco il miracolo, anzi la serie di piccoli miracoli:
1. svela che l'ala ignorante dell'integralismo cattolico in Italia è tutto sommato piuttosto debole e rarefatta.
2. quel 'mangiapreti' di Moretti da cui molti si aspettavano che dicesse sul papa qualcosa di sinistra ha invece detto cose poetiche, universali, umane.
3. quelli che si pregustavano un film anticlericale hanno gradito il film nonostante l'iniziale delusione, perché hanno capito.
4. i cattolici hanno gradito il film a meno che avessero farinottiane fette di salame preventive sugli occhi, o fossero militanti di cielle di bassa lega, il che è perfettamente lo stesso (salvo che, se sei ciellino, oltre ad avere le tue fette ne porti una scorta che tenti di appiccicare sugli occhi altrui).
Forse Moretti non prenderà la Palma d'oro, anche perché gliel'han già data per La stanza del figlio, Piccoli certo meriterebbe un premio. Entrambi meritano un grazie. Habemus papam fa scivolare il nostro occhio lentamente e senza retorica fin nelle viscere di un uomo-papa che ci parla del tragico disorientamento rispetto ai ruoli di potere, e del dolore esistenziale che ne consegue, grande e inevitabile, fino all'emozione di un finale che è catarsi, ammissione di debolezza, ma anche affermazione di un valore. Le parole finali, sulla necessità della comprensione, ci lasciano con una sensazione di vuoto bruciante. Eppure non annullano la dimensione positiva del film, che prende equilibrio e forza dalla sua vena ironica e autoironica, con il suo continuo sconfinare fuori dalla realtà e con le sue battute, pronte per diventare altrettanti tormentoni dei mesi a venire, grucce adatte per i momenti di crisi di fronte alla percezione dello scollamento fra il nostro potere – di comprendere e di agire – e l'esercizio incomprensivo, violento e improvvido di chi di potere ne ha tanto.
giovedì 28 aprile 2011
habemus papam: controinvettiva
venerdì 22 aprile 2011
Nube tossica dai campi coltivati. Agricoltori: delinquenti o vittime?
Zitto zitto, piano piano, un giorno di aprile nell'antico borgo di Settala arriva un invisibile ma puzzolente nuvolone. Tossico? Dicono di no, ma di certo è irritante, aggressivo, il nuvolaccio, come un gas lacrimogeno, e arriva quatto quatto sul far della notte. Una notte abbastanza calda perché a Settala ci fosse ancora in giro un po' di gente, e perché molti tenessero le finestre aperte. É subito caos. Qualcuno deve correre in ospedale, la zona est del milanese si mette in allarme. Torna il ricordo di Seveso. Secondo la tradizione, i settalesi han le gambe buone: gambe buone per scappare, questa volta, anche se in mattinata l'allarme rientra e tutti possono tornare a casa, magari per fare i bagagli per Pasqua.
Ma che fa la nostra agricoltura? I coltivatori si son “dimenticati” di coprire il diserbante con uno strato di terra, dicono. Quel diserbante non è mica anche il responsabile dei livelli di atrazina nell'acqua potabile, che di tanto in tanto superano la soglia? Ma c'è qualcuno che analizza le verdure che mangiamo per sapere se anche lì non ci siano magari un po' troppo alachlor, atrazina, cianazina, metolachlor e simazina, insomma, un po' troppe sostanze cancerogene? Sì, boh, a volte. Ma che diserbante si usa da noi? Forse il famigerato Roundup della Monsanto (non sto a spiegarlo qui e ora, ma per me è un po' come dire il nome del diavolo: fate le vostre ricerche su Monsanto, Roundup e Gliphosate)? Non è proprio a Rozzano, vicino a Settala, che pochi anni fa fu chiuso un pozzo dell'impianto idrico per via dell'atrazina? Boh. sì, forse. Ma in città va meglio! Forse. Oppure no. Come credete che manteniamo i marciapiedi e i bordi delle strade liberi dall'erba?
Ma che cosa fa, l'atrazina, oltre a far venire il cancro? Beh, niente di preoccupante: fa diventare ermafroditi i maschi delle rane (studi dell'università di Berkeley: verificate pure, non è una bufala)! Ottimo, più rane = meno zanzare, e finalmente torneranno ad aumentare le simpatiche amiche, dopo che i nuovi fantastici metodi di coltivazione nelle risaie le avevano abbattute (acqua per pochi giorni = le zanzare fanno in tempo a riprodursi, i girini muoiono). Forse anche i maschi degli umani, in futuro. Qualcuno sarà contento, ma potrebbe essere un'evenienza un pochino problematica. Chissà. non scherziamo, pare che la mutazione sessuale nel maschio umano richiedeae 600 volte la dose di atrazina sufficiente nelle rane. Quindi per ora tranquilli, niente pancione, al massimo un po' di tette (ma l'inquinamento da estrogeni si somma all'atrazina, quindi chissà...).
Ma come stanno andando le cose? Da anni ci dicono che l'uso di diserbanti e pesticidi in agricoltura sta diminuendo progressivamente (già, così dicono anche dell'inquinamento atmosferico da autovetture, ma in queste affermazioni generiche la verità è semplicemente “saltata” a piè pari), e in qualche zona sarà anche vero, ma una breve ricerca mi conduce a un documento ufficiale. Pur nella sua difficoltà di lettura e capziosità di linguaggio pseudo-scientifico ci fornisce dati che mostrano invece un ritrovamento crescente di sostanze dannose nelle acque lombarde, per rimanere in zona. Guardate infatti lo studio di Chinaglia e Fiore sul sito www.apat.gov.it. Non guardate le frasi di conclusione, ma i dati! Altri documenti ci dicono che rispetto alla provincia di Milano, Mantova e Varese sono messe peggio e l'Unione Europea ha richiesto la chiusura dei pozzi per almeno 8 località (che vuol dire che otto comuni dovrebbero rimanere del tutto a secco). Poi ci sono le zone e i singoli contadini virtuosi, che qua e là fanno migliorare le cose. Ma, ahimè. È un po' come il nucleare. L'atrazina nell'acqua è il residuo di coltivazioni di parecchi anni fa, ora non la si usa più, ma c'è ancora! Con pochi soldi, pochi ricercatori eseguono monitoraggi sempre parziali della situazione, il che vuol dire che sempre nuove sostanze possono sfuggire ai vecchi parametri, in misura crescente di anno in anno. All'agricoltura si somma la crescente “pressione antropica”, che ha ridotto la Lombardia a una città-regione il cui unico parziale argine sono le montagne. Così si monitora qualcosa, qualcos'altro sfugge, e soprattutto sfuggono le somme, i conti non tornano. E dopo che si è monitorato, che si fa? Si chiude qualche pozzo in più? O...si alza la soglia degli inquinanti ammessi nell'acqua potabile, e il gioco è fatto! Altro che rane ermafrodite: governanti tocchi! Che dire, dunque degli agricoltori, se non che si tratta di una categoria perfettamente integrata in uno scenario di mancanza di vera sensibilità e responsabilità nei confronti dell'ambiente? Vittime dunque dell'ignoranza favorita da un governo furbastro, i contadini, ma rei di condividere l'inerzia sovrana. C'è differenza fra generica sensibilità per i problemi ambientali (= oddio, è uno schifo, che orrore, ma io che ci posso fare?) e autentico, umano senso di responsabilità (= coltivo biologico, vendo o compro biologico, uso meno l'auto, compro prodotti coltivati qua vicino, la smetto con frutta e verdura fuori stagione... come primo passo!). Sono uno di quegli agricoltori che coltivano senza sosta lo stesso campo, un anno mais e l'anno dopo mais, e magari l'anno dopo frumento (fantastica pseudo-rotazione priva di senso!), negli ultimi fazzoletti di terra fra città e impianti industriali, e seguo quasi per bene tutte le linee guida fornite dalla regione e dal consorzio agrario, cioè spargo i fitofarmaci nelle dosi consigliate e poi ci metto sopra lo strato di terra previsto? Sono uno di quegli agricoltori che “non credono nel biologico” senza averci mai provato? Uno di quelli che se hanno a fianco un campo bio, circondato da molte varietà di alberi autoctoni nei filari, di quelli che servono da protezione e da riequilibrio dei parassiti, glieli abbatto perché fanno ombra sul mio campo?
Forse posso invece tornare a fare un mestiere di cui essere orgoglioso, condividere benessere invece che inquinamento, ridare un po' di salute alla mia terra, ricominciare a conoscere il mio campo e le mie piante, accendere il cervello e tornare a svolgere la mia antica funzione di tutela del territorio. Essere, insomma, un vero contadino. Oppure vendere. Ma non a un'immobiliare, grazie.
Ma che fa la nostra agricoltura? I coltivatori si son “dimenticati” di coprire il diserbante con uno strato di terra, dicono. Quel diserbante non è mica anche il responsabile dei livelli di atrazina nell'acqua potabile, che di tanto in tanto superano la soglia? Ma c'è qualcuno che analizza le verdure che mangiamo per sapere se anche lì non ci siano magari un po' troppo alachlor, atrazina, cianazina, metolachlor e simazina, insomma, un po' troppe sostanze cancerogene? Sì, boh, a volte. Ma che diserbante si usa da noi? Forse il famigerato Roundup della Monsanto (non sto a spiegarlo qui e ora, ma per me è un po' come dire il nome del diavolo: fate le vostre ricerche su Monsanto, Roundup e Gliphosate)? Non è proprio a Rozzano, vicino a Settala, che pochi anni fa fu chiuso un pozzo dell'impianto idrico per via dell'atrazina? Boh. sì, forse. Ma in città va meglio! Forse. Oppure no. Come credete che manteniamo i marciapiedi e i bordi delle strade liberi dall'erba?
Ma che cosa fa, l'atrazina, oltre a far venire il cancro? Beh, niente di preoccupante: fa diventare ermafroditi i maschi delle rane (studi dell'università di Berkeley: verificate pure, non è una bufala)! Ottimo, più rane = meno zanzare, e finalmente torneranno ad aumentare le simpatiche amiche, dopo che i nuovi fantastici metodi di coltivazione nelle risaie le avevano abbattute (acqua per pochi giorni = le zanzare fanno in tempo a riprodursi, i girini muoiono). Forse anche i maschi degli umani, in futuro. Qualcuno sarà contento, ma potrebbe essere un'evenienza un pochino problematica. Chissà. non scherziamo, pare che la mutazione sessuale nel maschio umano richiedeae 600 volte la dose di atrazina sufficiente nelle rane. Quindi per ora tranquilli, niente pancione, al massimo un po' di tette (ma l'inquinamento da estrogeni si somma all'atrazina, quindi chissà...).
Ma come stanno andando le cose? Da anni ci dicono che l'uso di diserbanti e pesticidi in agricoltura sta diminuendo progressivamente (già, così dicono anche dell'inquinamento atmosferico da autovetture, ma in queste affermazioni generiche la verità è semplicemente “saltata” a piè pari), e in qualche zona sarà anche vero, ma una breve ricerca mi conduce a un documento ufficiale. Pur nella sua difficoltà di lettura e capziosità di linguaggio pseudo-scientifico ci fornisce dati che mostrano invece un ritrovamento crescente di sostanze dannose nelle acque lombarde, per rimanere in zona. Guardate infatti lo studio di Chinaglia e Fiore sul sito www.apat.gov.it. Non guardate le frasi di conclusione, ma i dati! Altri documenti ci dicono che rispetto alla provincia di Milano, Mantova e Varese sono messe peggio e l'Unione Europea ha richiesto la chiusura dei pozzi per almeno 8 località (che vuol dire che otto comuni dovrebbero rimanere del tutto a secco). Poi ci sono le zone e i singoli contadini virtuosi, che qua e là fanno migliorare le cose. Ma, ahimè. È un po' come il nucleare. L'atrazina nell'acqua è il residuo di coltivazioni di parecchi anni fa, ora non la si usa più, ma c'è ancora! Con pochi soldi, pochi ricercatori eseguono monitoraggi sempre parziali della situazione, il che vuol dire che sempre nuove sostanze possono sfuggire ai vecchi parametri, in misura crescente di anno in anno. All'agricoltura si somma la crescente “pressione antropica”, che ha ridotto la Lombardia a una città-regione il cui unico parziale argine sono le montagne. Così si monitora qualcosa, qualcos'altro sfugge, e soprattutto sfuggono le somme, i conti non tornano. E dopo che si è monitorato, che si fa? Si chiude qualche pozzo in più? O...si alza la soglia degli inquinanti ammessi nell'acqua potabile, e il gioco è fatto! Altro che rane ermafrodite: governanti tocchi! Che dire, dunque degli agricoltori, se non che si tratta di una categoria perfettamente integrata in uno scenario di mancanza di vera sensibilità e responsabilità nei confronti dell'ambiente? Vittime dunque dell'ignoranza favorita da un governo furbastro, i contadini, ma rei di condividere l'inerzia sovrana. C'è differenza fra generica sensibilità per i problemi ambientali (= oddio, è uno schifo, che orrore, ma io che ci posso fare?) e autentico, umano senso di responsabilità (= coltivo biologico, vendo o compro biologico, uso meno l'auto, compro prodotti coltivati qua vicino, la smetto con frutta e verdura fuori stagione... come primo passo!). Sono uno di quegli agricoltori che coltivano senza sosta lo stesso campo, un anno mais e l'anno dopo mais, e magari l'anno dopo frumento (fantastica pseudo-rotazione priva di senso!), negli ultimi fazzoletti di terra fra città e impianti industriali, e seguo quasi per bene tutte le linee guida fornite dalla regione e dal consorzio agrario, cioè spargo i fitofarmaci nelle dosi consigliate e poi ci metto sopra lo strato di terra previsto? Sono uno di quegli agricoltori che “non credono nel biologico” senza averci mai provato? Uno di quelli che se hanno a fianco un campo bio, circondato da molte varietà di alberi autoctoni nei filari, di quelli che servono da protezione e da riequilibrio dei parassiti, glieli abbatto perché fanno ombra sul mio campo?
Forse posso invece tornare a fare un mestiere di cui essere orgoglioso, condividere benessere invece che inquinamento, ridare un po' di salute alla mia terra, ricominciare a conoscere il mio campo e le mie piante, accendere il cervello e tornare a svolgere la mia antica funzione di tutela del territorio. Essere, insomma, un vero contadino. Oppure vendere. Ma non a un'immobiliare, grazie.
mercoledì 20 aprile 2011
post magico
se avessi saputo che bastava postare la mia invettiva contro il nucleare perché il governo lo eliminasse dai suoi programmi (per ora), avrei postato prima. Peccato che, come tutti hanno capito, questo provvedimento serva esclusivamente a disincentivare la partecipazione delle persone ai prossimi referendum. Così l'acqua rimarrà in mano ai gestori privati che non hanno alcun interesse ad investire per migliorare la situazione dei nostri acquedotti, o per monitorare la salubrità delle acque che beviamo. Avranno invece molto interesse ad alzare i prezzi, se saranno regimi localmente monopolistici o, se invece la concorrenza sarà più presente, l'avranno a investire in campagne pubblicitarie che permettano loro di imporsi alla nostra attenzione, a noi, quote di mercato: sappiamo già che cosa vuol dire. Proposte via posta, via mail, via telefono, via cellulare, via qualunque infinita rottura di scatole che darà occupazione a nuovi schiavi di nuovi call center il cui ordine non sarà risolvere i nostri problemi, ma tutt'al più invogliarci a cambiare allacciamento. Ma sappiamo bene che il punto principale non è l'acqua, il referendum che non ci vogliono far votare è quello sul legittimo impedimento: se non andremo a votare, chi impedirà loro di continuare a squartare l'Italia secondo la dura legge del (loro) capitale?
martedì 19 aprile 2011
nuovo aggiornamento biblioteche
Vado cercando una rivista di critica d'arte per la mia tesi di dottorato: a Milano è quasi introvabile, presente solo con alcune annate in poche biblioteche. Finalmente scopro che alla biblioteca dell'Umanitaria, benedetta istituzione, ce l'hanno tutta o quasi. Siccome però il loro catalogo non è aggiornato, per sicurezza, telefono.
- Non ce l'abbiamo
- Come, ma risulta da internet!
- Siccome la critica d'arte non fa parte dei nostri temi più specifici, l'abbiamo buttata
- Buttata?
- Buttata (nota di sconforto)
- Perché non regalata?
- Mah, i periodici non interessano a nessuno
Bene, proporrei dunque di usarli come combustibile, la prossima volta!
- Non ce l'abbiamo
- Come, ma risulta da internet!
- Siccome la critica d'arte non fa parte dei nostri temi più specifici, l'abbiamo buttata
- Buttata?
- Buttata (nota di sconforto)
- Perché non regalata?
- Mah, i periodici non interessano a nessuno
Bene, proporrei dunque di usarli come combustibile, la prossima volta!
nucleare: noi come Arianna e Teseo?
La questione nucleare è una cartina di tornasole della funzionalità della politica dal basso, della partecipazione responsabile di noi tutti al nostro destino, insomma, della democrazia.
Ricordate il mito del Minotauro, o la storia di San Giorgio e il Drago? Sacrificare ogni anno fanciulli e fanciulle era il patto, odioso ma giudicato accettabile, che evitava alle popolazioni, governate da re, un pericolo più grande. Non risulta che la gente si opponesse al volere dei loro governanti.
Le implicazioni simboliche di quei racconti sono tante, ma qua interessa solo la questione del giudizio, condiviso dall’autorità politica e dal popolo (ma probabilmente non dalle vittime), di accettabilità del sacrificio. Nei miti come nella realtà presente.
Oggi riteniamo di essere civilizzati perché guerre e sacrifici umani sono lontani da noi nel tempo e/o nello spazio. Intanto viviamo in un complicato e sviluppatissimo comfort, benché a volte un po’ zoppicante e bizzarro nel bilanciamento fra quantità di ricchezze e di apparati tecnologici disponibili e qualità ‘percepita’ della vita.
L’abbiamo scelto: siamo in democrazia. Ma che cosa abbiamo scelto? Siamo sicuri di saperlo? E se il potere fosse in mano nostra, in mano mia, invece che in quelle dei deputati e senatori che mi rappresentano, farei le stesse scelte?
Va bene andare avanti così, o si percepisce un pericolo? Non si sta diffondendo la sensazione che le nostre economie, già in crisi da tempo, stiano barcollando sopra qualcosa di simile alle bolle speculative su cui sono crollate numerose grandi aziende in Italia e nel mondo? Va bene così, o le politiche energetiche dei governi occidentali evidenziano, nella loro pazza corsa al nucleare, la confusione e il panico strisciante dati dalla prospettiva di risultare prima o poi quel che già siamo, cioè più poveri di molti paesi emergenti che detengono maggiori risorse?
È per questo che, sotto sotto, siamo tutti d’accordo nel sacrificare fanciulli e fanciulle al drago?
Non è forse il panico di perdere i propri privilegi che accomuna i politici rei di scelte poco lungimiranti e a volte inumane e noi abbindolati dai numeri del Pil e dalle statistiche sulla crescita industriale? E non è forse la paura che immobilizza molti e li rende acritici e inerti, a volte beati, davanti allo spettacolo squallido di un premier simbolo del maschio italiano che nonostante tutto si diverte, orgoglioso del suo potere?
Forse sì, abbiamo paura, eppure credo che il nucleare evidenzi una frattura fra ciò che apparentemente accetto e ciò che effettivamente sceglierei. Nonostante l’inerzia di molti di noi, credo che ci sia davvero differenza fra ciò che il governo decide e ciò che noi, al loro posto, sapendo tutto quel che c’è da sapere, sceglieremmo.
Il problema del nucleare mette in luce uno stato di sofferenza dei meccanismi della democrazia, che occorre invece rivitalizzare, mostrando attivamente il nostro parere.
Siamo disposti a sacrificare gli innocenti al Minotauro, al drago? Se ci rassicurano sul fatto che teoricamente nessun danno dovrebbe conseguirne per noi e i nostri figli, che c’è una pressoché totale sicurezza, che è un’energia pulita, sembra che noi non chiediamo altro, che ci lasciamo rassicurare, rifiutando i pareri diversi come questioni ideologiche e faziose, e ci teniamo invece i vantaggi, le facili prospettive di ricchezza – o almeno così appaiono.
Ma che cosa riceveremo, precisamente, in cambio? Perché mettere un drago nel nostro giardino? Saremo forse un po’ più ricchi, pagheremo meno la bolletta dell’energia elettrica, diminuirà qualche tassa comunale, saremo meno dipendenti dal petrolio e quindi da altri paesi? Forse.
Ci rassicurano: in Italia non può verificarsi né Chernobil né Fukushima. Ma il nucleare fa male solo in caso di terremoti o tsunami? Per il resto, è pulito e sicuro?
Non c’è modo di sapere se non ci sarà mai un errore umano. Anche se non ci fosse, non c’è modo di evitare i piccoli continui ‘incidenti’ che si verificano nelle centrali esistenti nel mondo, così ordinari da non essere nemmeno considerati tali. Il nucleare produce nel pianeta una radioattività che prima non esisteva, che viene in parte rilasciata nell’ambiente, un giorno dopo l’altro. Ogni organismo contaminato diventa a sua volta un trasmettitore, inclusi i corpi delle persone. Una lattina di carne in scatola ermeticamente chiusa può essere analizzata (con un esame condotto servendosi di minerali radioattivi) per sapere se è stata prodotta prima o dopo lo sgancio della prima bomba atomica: da allora, non c’è più niente che non sia contaminato dal fall out generato dall’impiego del nucleare per guerre, test militari e impieghi civili. Per anni Francia e Stati Uniti hanno ‘provato’ le loro bombe nei deserti o in mezzo al mare. La radiazioni se ne sono andate nell’aria, nell’acqua, nei tessuti animali, e a poco a poco sono state trasportate per il mondo dalle piogge, un’esplosione dopo l’altra, e sono ancora qua con noi. Poi sono arrivati missili, semplici proiettili, piccole atomiche poco visibili diffuse qua e là nelle guerre e anche in oggetti del tutto pacifici. Prodotti anche da noi, giorno dopo giorno.
Che ne è dei materiali che già oggi, negli ospedali, nei laboratori e nelle fabbriche entrano quotidianamente in contatto con le radiazioni? Che ne è delle piccole fughe, piccole contaminazioni che si accumulano già ora nel tempo e nello spazio, sovrapponendosi all’inquinamento atmosferico, alle onde elettromagnetiche, alla chimica che ingeriamo con gli alimenti industriali, con la frutta e la verdura coltivate lungo le autostrade e irrorate con il veleno? Quanto possiamo tirarla ancora, questa corda?
Gli americani, le scorie radioattive, le mettono in un buco in mezzo a un deserto di sale, New Mexico, ma perfino lì c’è dell’umidità, e alle goccioline che poi evaporano, gli atomi instabili affidano i loro magici raggi. Nemmeno il buco in mezzo al deserto è la soluzione, ma al momento è il male minore.
E da noi, invece, che fine fanno le scorie quotidiane e i rifiuti da impianti in dismissione? In teoria, va tutto nei buchi scavati qua e là, ma in pratica, possiamo essere sicuri che non finiscano in discarica com’è accaduto in Brasile, o non siano riciclati in un’altra lavorazione, com’è accaduto in Cina, o siano stoccati in una nave poi affondata in mare, com’è accaduto in Italia? Nel paese delle discariche abusive, della diossina nell’acqua, nella terra, nel latte, nel paese della ‘questione napoletana’, possiamo immaginare che tutto vada con nettezza e precisione in un buco in mezzo al deserto?
Ci sono dei morti. Cancri, leucemie, forse altre malattie, forse anche molte malattie non mortali.
Il numero di correlazione certa dei morti alla radioattività emessa da attività umane negli ultimi 60 anni è ignoto: si sa solo che ci sono stati e ci saranno dei morti. Sul nucleare vige molta incertezza e solo una certezza: qualcuno, prima o poi, muore. Certo, si muore anche per molti altri draghi nella nostra economia. Pattumiera e produzione energetica, industria chimica, trasporto su gomma...
Ma qualcuno in più, col nucleare, lo manderemo, suo malgrado e spesso a sua insaputa, volontariamente e d’accordo con i governanti che abbiamo democraticamente eletto, dritto in bocca al Minotauro.
Forse è ora di ricordarci che possiamo e dobbiamo essere noi, oggi, i nipotini di Arianna, Teseo e Giorgio.
Ricordate il mito del Minotauro, o la storia di San Giorgio e il Drago? Sacrificare ogni anno fanciulli e fanciulle era il patto, odioso ma giudicato accettabile, che evitava alle popolazioni, governate da re, un pericolo più grande. Non risulta che la gente si opponesse al volere dei loro governanti.
Le implicazioni simboliche di quei racconti sono tante, ma qua interessa solo la questione del giudizio, condiviso dall’autorità politica e dal popolo (ma probabilmente non dalle vittime), di accettabilità del sacrificio. Nei miti come nella realtà presente.
Oggi riteniamo di essere civilizzati perché guerre e sacrifici umani sono lontani da noi nel tempo e/o nello spazio. Intanto viviamo in un complicato e sviluppatissimo comfort, benché a volte un po’ zoppicante e bizzarro nel bilanciamento fra quantità di ricchezze e di apparati tecnologici disponibili e qualità ‘percepita’ della vita.
L’abbiamo scelto: siamo in democrazia. Ma che cosa abbiamo scelto? Siamo sicuri di saperlo? E se il potere fosse in mano nostra, in mano mia, invece che in quelle dei deputati e senatori che mi rappresentano, farei le stesse scelte?
Va bene andare avanti così, o si percepisce un pericolo? Non si sta diffondendo la sensazione che le nostre economie, già in crisi da tempo, stiano barcollando sopra qualcosa di simile alle bolle speculative su cui sono crollate numerose grandi aziende in Italia e nel mondo? Va bene così, o le politiche energetiche dei governi occidentali evidenziano, nella loro pazza corsa al nucleare, la confusione e il panico strisciante dati dalla prospettiva di risultare prima o poi quel che già siamo, cioè più poveri di molti paesi emergenti che detengono maggiori risorse?
È per questo che, sotto sotto, siamo tutti d’accordo nel sacrificare fanciulli e fanciulle al drago?
Non è forse il panico di perdere i propri privilegi che accomuna i politici rei di scelte poco lungimiranti e a volte inumane e noi abbindolati dai numeri del Pil e dalle statistiche sulla crescita industriale? E non è forse la paura che immobilizza molti e li rende acritici e inerti, a volte beati, davanti allo spettacolo squallido di un premier simbolo del maschio italiano che nonostante tutto si diverte, orgoglioso del suo potere?
Forse sì, abbiamo paura, eppure credo che il nucleare evidenzi una frattura fra ciò che apparentemente accetto e ciò che effettivamente sceglierei. Nonostante l’inerzia di molti di noi, credo che ci sia davvero differenza fra ciò che il governo decide e ciò che noi, al loro posto, sapendo tutto quel che c’è da sapere, sceglieremmo.
Il problema del nucleare mette in luce uno stato di sofferenza dei meccanismi della democrazia, che occorre invece rivitalizzare, mostrando attivamente il nostro parere.
Siamo disposti a sacrificare gli innocenti al Minotauro, al drago? Se ci rassicurano sul fatto che teoricamente nessun danno dovrebbe conseguirne per noi e i nostri figli, che c’è una pressoché totale sicurezza, che è un’energia pulita, sembra che noi non chiediamo altro, che ci lasciamo rassicurare, rifiutando i pareri diversi come questioni ideologiche e faziose, e ci teniamo invece i vantaggi, le facili prospettive di ricchezza – o almeno così appaiono.
Ma che cosa riceveremo, precisamente, in cambio? Perché mettere un drago nel nostro giardino? Saremo forse un po’ più ricchi, pagheremo meno la bolletta dell’energia elettrica, diminuirà qualche tassa comunale, saremo meno dipendenti dal petrolio e quindi da altri paesi? Forse.
Ci rassicurano: in Italia non può verificarsi né Chernobil né Fukushima. Ma il nucleare fa male solo in caso di terremoti o tsunami? Per il resto, è pulito e sicuro?
Non c’è modo di sapere se non ci sarà mai un errore umano. Anche se non ci fosse, non c’è modo di evitare i piccoli continui ‘incidenti’ che si verificano nelle centrali esistenti nel mondo, così ordinari da non essere nemmeno considerati tali. Il nucleare produce nel pianeta una radioattività che prima non esisteva, che viene in parte rilasciata nell’ambiente, un giorno dopo l’altro. Ogni organismo contaminato diventa a sua volta un trasmettitore, inclusi i corpi delle persone. Una lattina di carne in scatola ermeticamente chiusa può essere analizzata (con un esame condotto servendosi di minerali radioattivi) per sapere se è stata prodotta prima o dopo lo sgancio della prima bomba atomica: da allora, non c’è più niente che non sia contaminato dal fall out generato dall’impiego del nucleare per guerre, test militari e impieghi civili. Per anni Francia e Stati Uniti hanno ‘provato’ le loro bombe nei deserti o in mezzo al mare. La radiazioni se ne sono andate nell’aria, nell’acqua, nei tessuti animali, e a poco a poco sono state trasportate per il mondo dalle piogge, un’esplosione dopo l’altra, e sono ancora qua con noi. Poi sono arrivati missili, semplici proiettili, piccole atomiche poco visibili diffuse qua e là nelle guerre e anche in oggetti del tutto pacifici. Prodotti anche da noi, giorno dopo giorno.
Che ne è dei materiali che già oggi, negli ospedali, nei laboratori e nelle fabbriche entrano quotidianamente in contatto con le radiazioni? Che ne è delle piccole fughe, piccole contaminazioni che si accumulano già ora nel tempo e nello spazio, sovrapponendosi all’inquinamento atmosferico, alle onde elettromagnetiche, alla chimica che ingeriamo con gli alimenti industriali, con la frutta e la verdura coltivate lungo le autostrade e irrorate con il veleno? Quanto possiamo tirarla ancora, questa corda?
Gli americani, le scorie radioattive, le mettono in un buco in mezzo a un deserto di sale, New Mexico, ma perfino lì c’è dell’umidità, e alle goccioline che poi evaporano, gli atomi instabili affidano i loro magici raggi. Nemmeno il buco in mezzo al deserto è la soluzione, ma al momento è il male minore.
E da noi, invece, che fine fanno le scorie quotidiane e i rifiuti da impianti in dismissione? In teoria, va tutto nei buchi scavati qua e là, ma in pratica, possiamo essere sicuri che non finiscano in discarica com’è accaduto in Brasile, o non siano riciclati in un’altra lavorazione, com’è accaduto in Cina, o siano stoccati in una nave poi affondata in mare, com’è accaduto in Italia? Nel paese delle discariche abusive, della diossina nell’acqua, nella terra, nel latte, nel paese della ‘questione napoletana’, possiamo immaginare che tutto vada con nettezza e precisione in un buco in mezzo al deserto?
Ci sono dei morti. Cancri, leucemie, forse altre malattie, forse anche molte malattie non mortali.
Il numero di correlazione certa dei morti alla radioattività emessa da attività umane negli ultimi 60 anni è ignoto: si sa solo che ci sono stati e ci saranno dei morti. Sul nucleare vige molta incertezza e solo una certezza: qualcuno, prima o poi, muore. Certo, si muore anche per molti altri draghi nella nostra economia. Pattumiera e produzione energetica, industria chimica, trasporto su gomma...
Ma qualcuno in più, col nucleare, lo manderemo, suo malgrado e spesso a sua insaputa, volontariamente e d’accordo con i governanti che abbiamo democraticamente eletto, dritto in bocca al Minotauro.
Forse è ora di ricordarci che possiamo e dobbiamo essere noi, oggi, i nipotini di Arianna, Teseo e Giorgio.
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